di Licia Albertazzi - Corte di Cassazione Civile, sezione sesta, ordinanza n. 21273 del 18 Settembre 2013. In materia di revisione dell'importo dell'assegno familiare, a seguito di modifica intervenuta per opera della Corte d'Appello propone ricorso il genitore della minore condannato a corrispondere periodicamente un importo maggiore rispetto a quello liquidato dal giudice di primo grado. L'interessato ricorre in Cassazione denunciando violazione di legge e difetto di motivazione: il giudice del merito, nel ricalcolare la quota dovuta, si sarebbe infatti soltanto basato sulla differenza di reddito intercorrente tra il proprio e quello del genitore affidatario, senza tenere adeguatamente conto del concreto interesse e delle necessità del minore.

Esordisce la Suprema Corte ricordando come sia principio generalmente riconosciuto "l'obbligo di entrambi i genitori, che svolgono attività lavorativa produttiva di reddito, di contribuire al soddisfacimento dei bisogni dei figli minori, in proporzione alle proprie disponibilità economiche". Sulla base di tale criterio "il giudice può disporre, ove necessario, la corresponsione di un assegno periodico, al fine di realizzare tale principio di proporzionalità, e nel determinare l'importo dell'assegno per il minore, deve considerare le attuali esigenze del figlio, che si concretizzano in bisogni, abitudini, legittime aspirazioni del minore, e in genere nelle sue prospettive di vita, le quali non potranno non risentire del livello economico-sociale in cui si colloca la figura del genitore".  Tale valutazione è lasciata alla piena discrezionalità dell'organo giudicante, vincolato soltanto alla ragionevolezza ed alla logicità della motivazione che, nel caso di specie, secondo la Cassazione sussistono. La notevole disparità economica esistente tra genitori tanto è bastata a fondare ed a legittimare la decisione della Corte d'appello di aumentare la somma periodica a carico del genitore benestante.

La Suprema Corte rigetta così il ricorso e conferma la sentenza impugnata.

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