La Corte di Cassazione, con sentenza n. 6959 del 20 marzo 2013, ha affermato che se è vero che il criterio della pensionabilità (ovvero della prossimità alla pensione, da raggiungere comunque attraverso forme di sostegno del reddito) è considerato legittimo dalla giurisprudenza, anche costituzionale e di legittimità e che è valido e legittimo il criterio convenzionale del pensionamento, anche se adottato in via esclusiva, "tuttavia tale criterio convenzionale, in sé ragionevole, per perseguire correttamente in uno con l'obiettivo della "riduzione del danno" o "male minore" quello della "trasparenza delle scelte aziendali" non può che essere adottato nell'ambito di una comparazione dei lavoratori "fungibili". Diversamente, infatti, lo stesso ben potrebbe essere utilizzato a mero scopo discriminatorio in violazione dei principi di correttezza e buona fede."

La Corte territoriale non ha mai affermato l'irrazionalità, in sé, del criterio adottato ma ha evidenziato che tale criterio, così com'era stato applicato dall'azienda, procurava nella sequenza costituita da "necessità aziendali, tutele collettive e individuali dei lavoratori e atti vincolati" una frattura risultando "reciso il nesso fra le esigenze tecnico/produttive dell'azienda e i nominativi dei dipendenti licenziati". La Suprema Corte ha rilevato che i giudici di merito hanno spiegato in modo ineccepibile, che "essendosi applicato in via esclusiva il principio della pensionabilità, senza alcuna distinzione tra le categorie di appartenenza del personale esodato e, dunque, solo prevedendosi indiscriminatamente un'identità tra anziani e personale eccedentario, in realtà non si fosse fissato alcun criterio, non riuscendosi più a configurare, con un risultato del tutto incoerente, il nesso con le esigenze tecnico-produttive ed organizzative dell'azienda.". 

I Giudici di legittimità hanno altresì ricordato che "l'individuazione dei licenziandi deve necessariamente procedere per gradi successivi, attraverso una fase essenziale di preliminare definizione del cosiddetto "ambito di applicazione" (ovvero la predeterminazione quantitativa e qualitativa della "eccedenza") cui deve seguire poi l'adozione dei "criteri di scelta", per selezionare, in concreto, i singoli lavoratori che, rientrando in tale area di "eccedenza", sono, per un ragionevole motivo, licenziabili comparativamente con minor danno sociale". Nel caso in questione, come correttamente evidenziato dalla Corte territoriale in applicazione dei principi esposti, la mancata distinzione, in sede di determinazione pattizia, tra le categorie di appartenenza del personale esodato non consentiva di rapportare la scelta rispetto alla predeterminazione quantitativa e qualitativa dell'eccedenza, realizzandosi così un risultato del tutto incoerente, nel senso che il criterio di scelta finiva per colpire indistintamente tutti i dipendenti.


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