La Corte di cassazione, con
sentenza 25 settembre 2012, n. 16238, respinge il ricorso di un dipendente di Banca licenziato per giusta causa. Il dipendente lamentava di essere stato oggetto di
mobbing in quanto impiegato in condizioni di serie difficoltà gestionale e di essere stato mortificato professionalmente. Aveva inoltre eccepito di aver subito un
licenziamento per giusta causa illegittimo sia formalmente che nel merito per un suo preteso coinvolgimento nella
vendita di alcuni orologi da parte di un cliente della Banca e che il recesso che non era stato neppure preceduto, nonostante la gravità degli addebiti, dalla sospensione cautelare dal servizio. Inoltre affermava che il
licenziamento era stato intimato con notevole ritardo rispetto alla scoperta della situazione in essere con il cliente, essendo la tempestività un requisito per qualsiasi tipo di
licenziamento e senza la quale non può esserci giusta causa. Chiedeva l'annullamento del disposto
licenziamento e la condanna per perdita di opportunità professionali e per
danno biologico, alla vita di relazione, all'immagine e ulteriori danni "esistenziali" nella misura indicata al ricorso. Già il Tribunale aveva convertito il
licenziamento intimato in recesso per giustificato motivo soggettivo e quindi gli riconosceva la sola indennità sostitutiva del preavviso. Punto saldo è che i fatti contestati al dipendente e comprovati in giudizio erano tali da giustificare un recesso per giusta causa: era emerso che egli aveva finanziato attraverso operazioni con causali non veritiere il cliente e che aveva partecipato ad un traffico di orologi con gli altri clienti della Banca, anche se non era stato quantizzato il suo tornaconto. La Cassazione afferma che non si può neanche parlare di tardività nell'intimazione del recesso in quanto il datore di lavoro doveva accertare una complessa situazione commerciale e l'effettiva entità delle violazioni contrattuali poste in essere. Per questi motivi il ricorso viene rigettato.