Italia condannata dalla Corte di giustizia Ue (sentenza del 19 marzo 2002) per violazione dell'art. 6 del trattato Ce
La Corte di Giustizia dell'Unione Europea, con sentenza del 19 marzo scorso, ha condannato l'Italia per essere venuta meno agli obblighi che le incombono in forza dell'art. 6 del Trattato CE (ora art. 12 CE in seguito a modifica), avendo mantenuto in vigore, con l'art. 207 C.d.S., un trattamento differenziato e non proporzionato dei trasgressori del codice della strada in base al luogo di immatricolazione dei veicoli.

Infatti, in caso di infrazione commessa con un veicolo immatricolato in Italia, il trasgressore dispone di un termine di sessanta giorni, decorrenti dalla contestazione o dalla notificazione dell'infrazione, per il pagamento del minimo edittale; entro tale termine può anche presentare ricorso al prefetto se non ha già pagato il suddetto minimo.

Invece l'art. 207 C.d.S. dispone che, in caso di infrazione commessa con un veicolo immatricolato in un altro Stato membro o munito di targa EE, il trasgressore deve versare immediatamente il minimo edittale oppure costituire una cauzione pari al doppio del minimo, a pena di ritiro della patente o di fermo amministrativo del veicolo.

Tale discriminazione corrisponde, di fatto, ad una disparità di trattamento fra trasgressori residenti e trasgressori non residenti e, poichè la categoria dei contravventori non residenti tende a coincidere con quella dei cittadini degli altri Stati membri, tale disparità di trattamento produce una discriminazione indiretta in base alla cittadinanza, attuata a scapito dei cittadini degli altri Stati membri.

Ciò contrasta appunto con l'art. 6 del Trattato che, espressione specifica del principio generale di uguaglianza, vieta ogni discriminazione basata sulla cittadinanza.


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