Sparlare di un proprio collaboratore non è educazione, tanto meno se lo si fa davanti ad una platea di persone a cui delle vicende tra i due poco può interessare. E se non si può proprio trattenersi dal farlo, cercate almeno di farlo con discrezione, assolutamente senza troppi interlocutori. Anzi nessun interlocutore, se non sé stessi, sarebbe la soluzione ottimale.

Certamente il presidente di Coop Centro Italia, eviterà di farlo del tutto in futuro, visto come si è rivoltata contro di lui un'uscita poco carina, nei confronti appunto di un dipendente. Durante un seminario il manager ha pensato bene di citare il collaboratore, assente all'evento, come esempio lavorativo da non seguire, perché addirittura rimosso dall'incarico "per incapacità a ricoprire il ruolo". Pur essendo stato discreto nel non riferirsi al dipendente con il suo nome, il dirigente venne reputato colpevole si avere offeso la reputazione del sottoposto ed era stato condannato per il reato di diffamazione, sia in primo sia in secondo grado.

Il presidente della Cooperativa, senza perdersi d'animo, a questo punto ha fatto ricorso in Cassazione, puntando, quale giustificazione della sua azione, sulla "libera manifestazione di pensiero consentita a chiunque in uno stato democratico, in via generale, e a maggior ragione nell'ambito di un rapporto subordinato dove e' riconosciuto al datore di lavoro un potere valutativo e disciplinare".

La Quinta sezione penale della Corte di Cassazione, pur avendo accolto il ricorso, ha disposto un nuovo esame della vicenda davanti al Tribunale di Terni, sottolineando però che "non e' consentito con la parola o con qualsiasi altro mezzo di espressione, ledere l'altrui reputazione, salvo che per tutelare interessi riconosciuti dall'ordinamento".

Nel nuovo giudizio sarà quindi necessario accertare se, nel caso di specie, "il sacrificio della reputazione del dipendente sia proporzionato all'interesse perseguito". In altri termini si può anche arrivare a citare come cattivo esempio un dipendente, ma non si può prescindere dalla comparazione dei valori in gioco.

Nella sentenza la Corte si è ritrovata anche a stilare un vero e proprio vademecum del "buon dirigente", in cui la regola numero uno potrebbe proprio diventare quella che la reputazione dei dipendenti non si può "sacrificare" tanto alla leggera. Specie se ci si trova in un contesto pubblico, davanti ad una platea.

Naturalmente il manager rischia ancora di venir condannato. Quindi vale il detto "capo avvisato è mezzo salvato"....o forse non era proprio così.

Barbara LG Sordi
Email barbaralgsordi@gmail.it

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