Nota di commento alla sentenza del Tribunale di Bergamo sez. lavoro, n. 684 del 14.09.2016
Avv. Francesco Pandolfi -- Un caso molto interessante quello qui commentato, dove il Tribunale accoglie l'opposizione del lavoratore al licenziamento irrogato dal datore il quale, dopo aver visto su Facebook la pubblicazione di una fotografia del proprio dipendente che impugna un'arma insieme al fratello, ne trae un notevole turbamento ritenendo pregiudicato il rapporto fiduciario posto a base del contratto di lavoro.

Un caso particolare, dicevamo, in quanto la fattispecie tocca trasversalmente diversi temi ed aree del diritto: armi, licenziamento (vedremo illegittimo), natura delle "pubblicazioni" sulla piattaforma facebook, sanzioni disciplinari.

Ad interessarsi della soluzione giuridica del caso questa volta è il Giudice Unico del Tribunale di Bergamo, quale Giudice del Lavoro (cfr. sentenza n. 684 del 14 settembre 2016), cui il dipendente si rivolge per contestare il licenziamento irrogato.

La vicenda

L'interessato si rivolge al Tribunale e chiede, con ricorso in opposizione, che venga dichiarato illegittimo il licenziamento per giusta causa, comminato per l'invio ai colleghi di una fotografia che ritrae il dipendente con un'arma in mano.

Nella precedente fase processuale il Giudice ha respinto l'istanza del lavoratore, che ora reclama l'illegittimità del licenziamento ritenendolo una sanzione esagerata.

Ebbene, il ricorso in opposizione viene ritenuto fondato dal Tribunale e il licenziamento illegittimo.

Prima però di spiegare come e perché la magistratura arriva alla soluzione del caso, una precisazione va fatta sul contenuto della fotografia pubblicata sulla piattaforma sociale.

Parliamo di una foto, sembra inviata ai colleghi dell'azienda, con il dipendente che tiene in mano un'arma, insieme al fratello che mostra un braccio tatuato e anch'egli con un'arma.

A parere del datore, questa "pubblicazione" rappresenta un grave inadempimento rispetto agli obblighi contrattuali, alla policy aziendale nonché agli obblighi di correttezza che devono animare i rapporti di lavoro.

Il datore spiega di essere spaventato da questo fatto, visto che, purtroppo, anni addietro in azienda si è verificato un omicidio a sfondo sessuale per mano di un dipendente ed ora teme che possano ripresentarsi situazioni analoghe, volendo con ciò prevenire situazioni ambigue, pericoli e pregiudizi per il sereno svolgersi della produttività e dell'ambiente lavorativo: per questo pensa di allontanare definitivamente il dipendente dall'azienda.

Non si può licenziare per la foto su Facebook con un'arma

Come anticipato, il verdetto di questo grado è favorevole per il dipendente: a parere del magistrato i fatti addebitati, che pur possono avere una qualche rilevanza disciplinare, non sono però tali da giustificare una sanzione così estrema, quale quella del licenziamento.

Sicuramente il dipendente, proprio ripensando al triste episodio passato dell'omicidio in azienda, avrebbe dovuto usare maggiore prudenza, anche durante attività extra lavorative, ma questo non significa che egli possa essere licenziato.

Infatti, il vincolo fiduciario tra datore e dipendente può definitivamente rompersi solo al verificarsi delle seguenti situazioni (extra lavorative):

a) un nesso tra comportamenti sconvenienti, anche se non violano obblighi contrattuali;

b) un pregiudizio sull'attività produttiva dato da questi comportamenti;

c) il dipendente è realmente inidoneo a proseguire il rapporto di lavoro.

Ora, il dato che emerge dalla causa è che effettivamente la foto è stata postata su Facebook e, quindi, come se fosse stata "inviata", cioè comunicata a terzi.

Si tratta però di un fatto, possiamo dire, solo imprudente: i testimoni in causa non hanno neppure confermato di aver visto la foto, pertanto non è provato in alcun modo che la pubblicazione dell'immagine abbia provocato preoccupazione e/o turbamento tra i dipendenti.

In pratica:

Non basta la pubblicazione di una fotografia, sia pur di gusto controverso, per giustificare la massima tra le sanzioni disciplinari: se proprio si vuole rimproverare un qualcosa al dipendente, esistono sanzioni più miti adatte alla specifica situazione.

Il consiglio è di ricorrere quindi al magistrato quando la sanzione del datore è chiaramente sproporzionata rispetto al fatto contestato.

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Francesco Pandolfi
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Si occupa principalmente di Diritto Militare in ambito amministrativo, penale, civile e disciplinare ed и autore di numerose pubblicazioni in materia.
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