Sezioni Unite Cassazione: scatta la sanzione per l'avvocato che, contravvenendo a un accordo con i colleghi, non paga la propria quota di TARSU per lo studio legale

Avvocato non rimborsa Tarsu ai colleghi

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La Corte di Cassazione a Sezioni Unite nella sentenza n. 15109/2021 (sotto allegata) conferma la decisioni del CNF, che ha ritenuto un avvocato responsabile di non avere rimborsato ai colleghi di studio la propria quota di TARSU per il servizio raccolta rifiuti, in violazione dell'accordo intercorso con gli stessi.

Per la Cassazione, adita dal legale soccombente, il ricorso finalizzato a contestare il decreto di citazione e la motivazione apparente del CNF è da rigettare perché le doglianze sollevate sono finalizzate a ottenere una rivalutazione del giudizio di merito che in sede di legittimità è preclusa.

Vediamo cosa è successo fin dall'inizio.

La vicenda processuale

Il COA di Palermo, ritenendo responsabile un avvocato per non avere adempiuto ad alcuno degli obblighi fiscali a suo carico in violazione dell'art. 15 del codice deontologico e per avere recato disdoro alla classe forense violando anche l'art. 5 delle norme deontologiche, gli infligge la sanzione dell'avvertimento.

Il legale ricorre al CNF, che lo assolve dalla prima accusa, rilevando che l'onere della TARSU gravava in realtà sui due avvocati, subaffittuari di alcune delle stanze presenti all'interno dell'appartamento adibito a studio legale ove anche l'avvocato sanzionato svolgeva la sua attività.

Rigettata invece l'impugnazione relativa al secondo capo d'incolpazione, in quanto l'avvocato non ha provveduto a rimborsare ai colleghi, come pattuito, una parte di quanto loro pagato per la TARSU, violando in questo modo gli accordi intercorsi e tenendo una condotta contraria ai doveri di dignità, probità e decoro, contravvenendo così a quanto disposto dall'art. 9 comma 2 del Codice di Deontologia Forense.

Motivazione apparente del provvedimento impugnato

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L'avvocato a questo punto decide di far valere le proprie ragioni davanti alla Corte di cassazione, innanzi alla quale solleva quattro motivi di doglianza.

  • Con il primo denuncia la mancata indicazione nel decreto di citazione degli addebiti contestati, in violazione dell'art. 48 co. 1 RD n. 37/1934.
  • Con il secondo, il terzo e il quarto invece denuncia la mera apparenza della motivazione del provvedimento impugnato in riferimento a varie parti dello stesso.

Confermata sanzione per il mancato pagamento della quota TARSU

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La Corte di Cassazione rigetta il ricorso del legale così motivando le ragioni della sua decisione.

Il primo motivo è infondato. Sul punto del resto la Cassazione è già intervenuta precisando che nei procedimenti disciplinari intrapresi nei confronti degli avvocati gli addebiti non devono essere contestati minutamente con una descrizione particolareggiata dei fatti che integrano l'illecito. E' infatti sufficiente che l'incolpato sia in grado di predisporre una difesa efficace, senza naturalmente correre il rischio di essere condannato per fatti diversi per i quali è stato incolpato.

Il CNF, innanzi al quale il legale ha già sollevato questo rilievo, ha parimenti escluso del resto la violazione dell'art. 48 del RD n. 37/1934 perché in effetti il decreto di citazione era completo e scritto in modo da far comprendere all'avvocato il tenore delle condotte contestategli. Non viola l'art. 48 neppure il fatto che il decreto fosse "steso in calce alla deliberazione di apertura del dibattimento, recante i capi di incolpazione e si apriva con l'espresso richiamo a detta deliberazione" perché questa modalità soddisfa il diritto all'informazione dell'incolpato.

Per quanto riguarda invece le contestazioni relative alla motivazione del provvedimento del CNF la Corte fa presente che:

  • il ricorrente, contrariamente a quanto sostenuto dallo stesso, non ha subito alcuna contrazione del suo diritto di difesa, tanto è vero che la decisione del CNF "enumera e confuta le molteplici argomentazioni difensive" dello stesso;
  • per quanto riguarda il fatto che il CNF, nel confermare la sanzione, abbia posto a fondamento della sua decisione 6 risultanze di fatto emerse dall'istruttoria senza indicarle nello specifico e senza graduarle in base alla loro importanza, la Cassazione precisa che il giudice non è tenuto al rispetto di questa "regola". Nei giudizi di responsabilità degli avvocati, il giudicante, al pari del giudice di merito "è libero di attingere il proprio convincimento da quelle prove o risultanze di prova che ritenga più attendibili e idonee alla formazione dello stesso, né gli è richiesto di dar conto, nella motivazione, dell'esame di tutte le allegazioni e prospettazioni delle parti e di tutte le prove acquisite al processo (…)."
  • Per riguarda il quarto motivo infine la Corte rileva l'insussistenza della prospettata motivazione apparente. L'Avvocato, ritenuto responsabile di aver recato danno al decoro della professione per non avere provveduto a rimborsare la quota dovuta ai colleghi per la TARSU, contesta l'intervenuto accordo, che nel provvedimento impugnato non è stato dettagliato. La sentenza afferma infatti che solo due avvocati si sono detti disponibili a pagare le spese della TARSU, ma non indica l'obbligo che l'avvocato ricorrente si sarebbe assunto. Inoltre contesta il mancato rimborso, visto che la tassa non era ancora stata pagata dai colleghi. Critiche e rilievi però che per la Cassazione hanno la sola finalità di mettere in discussione gli accertamenti del giudice di merito, incontestabili in sede di legittimità.

Scarica pdf Cassazione n. 15109/2021

Foto: 123rf.com
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