Oggi 25 novembre ricorre la Giornata mondiale contro il femminicidio e la violenza sulle donne. Un focus sugli abusi in ambito sportivo

La Giornata mondiale contro il femminicidio e la violenza sulle donne

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Oggi 25 novembre ricorre la Giornata mondiale contro il femminicidio e la violenza sulle donne istituita dall'Assemblea generale delle Nazioni Unite nel 1999. La data scelta ricorda il 25 novembre 1960, giorno in cui tre attiviste politiche della Repubblica Dominicana, le sorelle Mirabal, vennero violentate e uccise da uomini dell'esercito durante la dittatura di Rafael Trujillo. Le Nazioni Unite definiscono la violenza contro le donne: "qualsiasi atto di violenza fondata sul genere che comporti, o abbia probabilità di comportare, sofferenze o danni fisici, sessuali o mentali per le donne, incluse le minacce di tali atti, la coercizione o la privazione arbitraria della libertà, sia che si verifichi nella sfera pubblica che in quella privata". Un giorno che non dovrebbe esistere.

Purtroppo la donna nei secoli ha lottato per raggiungere più che la parità dei diritti, il riconoscimento della sua funzione sociale e della sua dignità. La donna, per raggiungere tale meta, ha lottato in tutti gli strati ed ambiti sociali, non di meno in ambito sportivo.

La donna nello sport

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La donna nello sport è infatti stata vista per molto tempo come anormale, perché andava a contrapporsi all'immagine della donna curata e dedita alla famiglia e inoltre si doveva confrontare con il già affermato mondo sportivo maschile. Ciò ha portato così a identificare la donna sportiva come qualcosa di diverso dall'ordinario.

Solo le Olimpiadi di Londra 2012 hanno visto rappresentato, per la prima volta nella storia, un numero uguale di sport per le donne e per gli uomini. In seguito all'espansione degli sport femminili, molti paesi, come gli Stati Uniti, hanno registrato una grande crescita del numero di donne olimpioniche. Ma nonostante i miglioramenti nel raggiungimento dell'uguaglianza di genere anche nello sport, le atlete affrontano ancora numerosi ostacoli.

I primi interventi legislativi

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Questo idioma è stato superato con la "Carta dei Diritti delle Donne nello Sport" del 1985 che rappresenta il primo passo per riconoscere ufficialmente la rivendicazione di pari opportunità tra donne e uomini nello sport all'interno del territorio dell'Unione Europea. La Carta del 1985 evidenzia il grande numero di diseguaglianze fra donne e uomini nel campo dello sport e evidenzia l'importanza di rimuovere le ancora enormi barriere culturali che impediscono il reale coinvolgimento delle donne.

Mentre in Italia la disparità di genere sta in una ben precisa legge discriminatoria: la Legge 23 marzo 1981, n. 81 che così sancisce: "Sono sportivi professionisti gli atleti che esercitano l'attività sportiva nell'ambito delle discipline regolamentate dal CONI" le suddette discipline si limitano a quattro federazioni sportive nazionali: calcio, golf, pallacanestro e ciclismo, tutte esclusivamente per la categoria maschile.

Nessuna atleta dunque sarà mai considerata professionista, indipendentemente dall'impegno prodotto sul campo o dai titoli raggiunti.

Ancora a causa della fatidica legge 81/91 che non riconosce alcuna disciplina femminile come professionistica, le atlete di ogni livello devono sottostare al vincolo sportivo, abolito invece per i professionisti, per il quale è la società a cui appartiene l'atleta a mettere il veto su ogni trasferimento che coinvolga la stessa.

Da questo breve ma intenso riquadro della situazione, appare evidente come il mondo dello sport femminile sia ricco di contraddizioni e discriminazioni e di numerosi ostacoli.

Inoltre molte atlete sono accettate dalla società e ricevono una copertura mediatica solo se partecipano a sport tradizionalmente femminili. Se una donna osa partecipare a uno sport maschile, la sua sessualità viene ancora oggi messa in discussione. I media tendono a ignorare i risultati atletici delle donne concentrandosi sul loro aspetto fisico, sulle vite private, sulla femminilità e sulla sessualità, anche se raggiungono imprese sportive più impressionanti.

Spesso capita ancora che i canali mediatici scelgano di mostrare immagini con diverse prospettive e inquadrature mettendo in mostra non tanto il gesto atletico quanto il corpo femminile, soprattutto in alcuni sport, come il beach volley ad esempio. L'enfasi sul loro corpo e sulla sessualità potrebbe mettere a rischio donne e ragazze.

Tale concezione è spesso l'anticamera della violenza sulle donne che si consuma in ambito sportivo.

Le cause della violenza sulle donne in ambito sportivo

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Lo sport è un ambiente che viene identificato come sano per principio, i genitori consegnano con grande fiducia i propri figli, fin dalla più tenera età, agli allenatori perché provvedano a formarli attraverso la pratica sportiva. Il mister diventa una figura spesso mitizzata, sostitutiva di quella genitoriale, inoltre è investito di un enorme potere, perché è in grado di decidere chi gioca e chi siede in panchina anche per più partite, chi gioca l'intero match e chi solo pochi minuti. Il mondo dello sport è ricco di persone che grazie al volontariato e alla propria formazione, consentono ad alcuni milioni di bambini e ragazze di crescere attraverso lo sport, ma l'ambiente sportivo è uno degli ambiti meno vigilati e quando si manifestano episodi di violenza o abusi sessuali su minori, si tende a tacere perché la notizia non rovini la reputazione della società o della federazione sportiva.

Ma l'atleta, soprattutto nei primi anni della sua vita, individua nel proprio maestro-allenatore una sorta di guida, il modello al quale si ispira. Lo spirito emulativo determinata una sorta di dipendenza psicologica maggiore nello sport di quanto non lo sia in altri ambienti. Questa specie di dipendenza psicologica spesso diventa l'humus della violenza alle donne in ambito sportivo.

Scorrendo le pagine delle cronache sportive ci si imbatte spesso in storie di abusi e violenze. Come quello di Larry Nassar, medico della Nazionale statunitense di ginnastica condannato a 175 anni di carcere per aver molestato 160 atlete. Per i media è il più grande scandalo di abusi sessuali nella storia dello sport. Oppure come quello dell'ex presidente della Federazione afghana di calcio (AFF, Afghanistan Football Federation) Keramuudin Karim, ritenuto colpevole di violenza sessuale nei confronti di varie giocatrici.

Gli abusi nel mondo sportivo sono una realtà drammatica anche in Italia e l'unico modo per affrontarla sono la consapevolezza, l'informazione, la presa di coscienza riguardo ai propri diritti e doveri, a quello che è consentito e a quello che è proibito e censurabile, soprattutto attraverso la modernizzazione della giustizia sportiva con l'introduzione dell'illecito disciplinare di violenza sessuale e atti sessuali su donne e minori collegato alla esclusiva sanzione della radiazione e l'innalzamento della prescrizione ad almeno dieci stagioni sportive dal compimento dell'illecito; avviare iniziative pubbliche di sensibilizzazione e comprensione del fenomeno; adottare codici di comportamento dotati di un impianto sanzionatorio rigido per i trasgressori.

Primi segni di riforma sportiva in Italia

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I primi passi verso questa auspicata riforma repressiva è stata intrapresa il 25 novembre 2019 la Federazione arrampicata sportiva italiana (FASI) approvando questo articolo che cambia di fatto il proprio regolamento di giustizia ha compiuto una piccola, ma significativa rivoluzione per lo sport italiano. La FASI, infatti, è la prima federazione ad aver introdotto l'illecito disciplinare di violenza sessuale e abusi su minori, collegandolo esplicitamente alla radiazione, ovvero la sanzione massima.

La FISE (Federazione Italiana Sport Equestri) è la prima Federazione Sportiva a istituire una Commissione Anti Molestie

Il Consorzio Vero Volley ha avviato una serie di iniziative per prevenire il fenomeno degli abusi sessuali nello Sport, promuovendo corsi di formazione sul tema per i propri tecnici, introducendo un decalogo da fare sottoscrivere obbligatoriamente ai coach del Consorzio, richiedendo il certificato penale e quello dei carichi pendenti prima di ogni assunzione all'interno della realtà sportiva. Il consorzio, inoltre, esegue controlli minuziosi sui curricula, acquisendo informazioni sui nuovi assunti. Le squadre sono organizzate sempre con due allenatori presenti agli allenamenti.

Anche sul fronte della politica qualcosa si muove. C'è chi come Mara Carfagna ha proposto «che il CONI apra un'indagine rapida e a largo raggio e che si imponga all'associazionismo sportivo, alle grandi società e alle federazioni un codice etico stringente e invalicabile. Questa Carta deve essere sottoscritta da chiunque lavori a contatto con le atlete di ogni età, e accompagnata da un sistema sanzionatorio, un Daspo che allontani dai campi sportivi e dagli spogliatoi chiunque approfitti della sua posizione e autorità a danno di ragazze e donne.

Conclusioni

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Il mondo dello sport non è "amico delle donne": oltre alla grave e intollerabile discriminazione economica tra atlete e atleti, alla scarsa presenza delle donne nelle strutture dirigenti delle diverse discipline, alla insufficiente promozione dello sport femminile c'è una modesta, inadeguata e spesso stereotipata rappresentazione degli sport femminili sui media. L'informazione, anche nel settore dello sport, ha un ruolo fondamentale per promuovere l'attività femminile e le sue eccellenze, contro le discriminazioni e gli stereotipi per una piena valorizzazione delle donne nello sport e dello sport come fattore di vita sana, per la salute e il benessere. In ogni caso è necessario sensibilizzare e promuovere ogni attività che doni il rispetto alla donna nello sport come nella vita, e che questa concezione sia fatta propria da tutte le federazioni sportive, così da divenire trampolino di lancio verso un cambiamento che interessi tutta la società anche non sportiva, proprio per la funzione sociale ed educativa ricoperta dallo sport.

Avv. Maria Carmela Callà

Via Marconi I traversa

89044 - Locri (RC)

E-mail: mariacalla@libero.it

Pec: maria.calla@avvocatilocri.legalmail.it


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