Negli ultimi anni si è assistito ad una diffusione del c.d. turismo procreativo, vale a dire di quel fenomeno per cui coppie italiane, che non possono avere figli a causa dell'impossibilità della donna di procreare o di portare a compimento la gestazione, si avvalgono della tecnica della surrogazione di maternità in un Paese estero in cui la stessa e' consentita.

La surrogazione di maternità può assumere due forme distinte:

- surrogazione di concepimento e gestazione, ossia la situazione in cui l'aspirante madre demanda ad un'altra donna sia la produzione di ovociti, sia la gestazione, non fornendo alcun apporto biologico;

- surrogazione di gestazione, comunemente detta "affitto di utero" o "surrogazione di utero", ossia la situazione in cui l'aspirante madre produce l'ovocita il quale, una volta fecondato dallo spermatozoo dell'aspirante padre, viene impiantato nell'utero di un'altra donna che fungerà esclusivamente da gestante.

La diffusione del turismo procreativo discende dal divieto di surrogazione di maternità previsto nel nostro ordinamento dalla legge n. 40 del 19 febbraio 2004 recante "Norme in materia di procreazione medicalmente assistita" che stabilisce che "chiunque, in qualsiasi forma, realizza, organizza o pubblicizza la commercializzazione di gameti o di embrioni o la surrogazione di maternità è punito con la reclusione da tre mesi a due anni e con la multa

da 600.000 a un milione di euro" #.

In questo breve lavoro, ci occuperemo di valutare se la coppia di cittadini italiani che si avvalga di quella particolare forma di surrogazione di maternità consistente nel c.d. utero in affitto in un Paese straniero possa incorrere in responsabilità penali secondo la normativa interna del nostro Paese.

Occorre rilevare come la legge 40/2004 non introduca una specifica fattispecie sanzionatoria in relazione a pratiche di surrogazione di maternità (e quindi di utero) attuate all'estero da cittadini italiani.

D'altro canto è assai scarsa la produzione giurisprudenziale sul punto sia in quanto il fenomeno del turismo procreativo è relativamente recente, sia in quanto, ovviamente,  tale pratica è mantenuta strettamente riservata dai soggetti che se ne avvalgono.

In primo luogo, per accertare la configurabilità o meno di una responsabilità penale in capo agli aspiranti genitori che ricorrano alla surrogazione, è utile fornire un sommario quadro della normativa vigente in quei Paesi che sono maggiormente interessati dal turismo procreativo dei cittadini italiani.

In particolare ci occuperemo di fornire brevi cenni in ordine al quadro della normativa vigente in subiecta materia nel Regno Unito, in Grecia e in California, essendo questi i Paesi presso cui si sta orientando il  turismo procreativo maggiormente "consapevole e responsabile"#.

Nel Regno Unito il contratto

di utero in affitto è lecito solamente se a titolo gratuito e, difatti, è penalmente sanzionata con la reclusione fino a tre mesi e/o la multa fino a £ 5,000 (£ 10.000 in Scozia) ogni forma di attività commerciale e di intermediazione avente ad oggetto la surrogazione.

Inoltre, chiunque ponga in essere attività di promozione e/o di pubblicità di pratiche procreative implicanti il c.d. affitto dell'utero è punito con una multa del medesimo ammontare#, per cui accedere alla maternità surrogata presuppone lunghi tempi di attesa e si rivela essere alquanto difficoltoso.

Peraltro, il certificato di nascita è redatto a nome della gestante e, solo successivamente, entro sei mesi dal parto, a seguito di un apposito procedimento, l'autorità giudiziaria potrà emanare un parental order con cui ordina l'annullamento dell'originale atto di nascita e la redazione di un nuovo atto che indichi come genitori quelli biologici#. Formalmente è richiesto un mero domicilio della coppia committente nel territorio britannico al momento della presentazione dell'istanza di parental order.

Quanto alla Grecia, la legge n. 3089 del 2002 prevede un procedimento giudiziario autorizzativo a priori, volto ad accertare l'effettiva impossibilità dell'aspirante madre di portare a termine una gravidanza, la provenienza degli ovuli dalla stessa futura madre o da altra donatrice terza (e' difatti vietata la surrogazione di concepimento e gestazione), l'assenza di benefici economici, se non un mero indennizzo, e il requisito della residenza nel Paese sia della gestante sia dell'aspirante madre#.

Alla luce di quanto esposto, risultano evidenti le difficoltà che sorgono, per diversi motivi, qualora si tenti di accedere alla surrogazione di gestazione nel Regno Unito ed in Grecia

E', invece, più agevole accedere alla surrogazione di maternità (in entrambe le sue forme) in California, Paese al quale è riconosciuto il primato in tema di tecniche di fecondazione artificiale, sia sotto il profilo medico-clinico sia sotto il profilo legale#.

Difatti, le strutture californiane offrono standard clinici elevati ed un'accurata selezione delle gestanti, che vengono sottoposte a rigidi controlli sanitari e si obbligano a mantenere una condotta di vita confacente ad una gravidanza.

Inoltre, sotto il profilo giuridico, nello Stato della California non è mai stata codificata una legge ad hoc in tema di surrogazione di maternità e tale pratica di fecondazione assistita è stata disciplinata dalla giurisprudenza delle Corti californiane tramite un'interpretazione estensiva delle nozioni di madre e padre contenute nell'Uniform Parentage Act#.

Attualmente l'ordinamento giuridico consente la conclusione di negozi idonei a tutelare massimamente sia gli aspiranti genitori sia la gestante; per la formazione dei suddetti contratti è prassi consolidata rivolgersi a studi legali specializzati in "reproductive law", i quali si occupano di formalizzare sotto il profilo contrattuale tutti gli aspetti giuridici della vicenda.

In particolare sono affrontati nell'ambito del contratto stipulato tra gli aspirati genitori e la futura gestante la disciplina dell'interruzione della gravidanza in caso di malformazioni del feto; la rinuncia da parte della madre surrogata ad esperire azioni giudiziarie in relazione ad episodi verificatisi nel corso della gestazione e al momento del parto; le obbligazioni assunte dalla gestante quanto a stile di vita e ad attività sessuale; la rinuncia ad ogni contatto futuro tra le parti; la disciplina da applicarsi in caso di decesso di uno od entrambi gli aspiranti genitori dopo la conclusione e/o dopo l'esecuzione del contratto medesimo; la rinuncia della gestante ad essere nominata nel certificato di nascita; l'accettazione da parte della gestante di tutti i rischi connessi ad una gravidanza.

La disciplina analitica degli aspetti sopra sommariamente richiamati si è rivelata idonea a ridurre l'insorgenza di controversie giudiziali fra le parti del contratto.

Oltre alla disciplina dei rapporti tra gli aspiranti genitori e la gestante, la disciplina contrattuale prevede anche la regolamentazione dei rapporti intercorrenti fra dette parti e il fertility institute, in particolare con riferimento al processo di impianto degli embrioni nell'utero nonché alle garanzie di controllo della gestante.

Occorre evidenziare come lo Stato della California consenta agli aspiranti genitori di richiedere all'Autorità Giudiziaria, tramite un apposito procedimento sulla scorta del contratto di surrogazione l'emanazione di un provvedimento e nel quale gli stessi vengono qualificati come genitori in senso legale del nascituro.

Il suddetto provvedimento, che viene solitamente adottato al quarto o quinto mese di gravidanza in forza del contratto stipulato, indica come genitori i c.d. intended parents, vale a dire i committenti.

Sulla scorta del provvedimento giudiziale, al momento della nascita, l'autorità competente, The California Office of Vital Records, rilascia un certificato di nascita nel quale, quindi, in caso di surrogazione di utero, vengono indicati come genitori coloro che hanno trasmesso il patrimonio genetico#.

Questo certificato di nascita, tradotto in lingua italiana e debitamente apostillato, viene trasmesso dall'ufficio consolare in California al Comune competente in Italia ai fine della relativa iscrizione nei registri di stato civile secondo la normativa attualmente vigente in materia#.

Inoltre, in forza del suddetto certificato il figlio acquista la cittadinanza italiana ius sanguinis (oltre che la cittadinanza americana in forza dello ius soli) e, quindi, ha diritto al passaporto per rientrare in Italia.

*

Esplicitato quanto sopra, veniamo ora ad affrontare i profili di responsabilità penale afferenti la surrogazione di utero all'estero.

E' pacifico che non sia configurabile nel caso di surrogazione di utero effettuata presso un Paese estero il reato di cui all'art. 12 l. 40/2004.

Ciò in quanto l'art 7 c.p. non contempla tra i reati commessi all'estero e perseguibili in Italia quello previsto e punito dalla norma predetta.#   

Un maggior approfondimento, invece, merita l'analisi della configurabilità del reato di alterazione di stato di cui all'art. 567, comma 2, c.p.#.

Si è infatti ampiamente discusso in dottrina se l'indicazione della madre biologica nel certificato di nascita rilasciato nel Paese estero sia circostanza idonea ad integrare la fattispecie di cui all'art. 567, comma 2, c.p., recante "alterazione di stato".

La questione non è di poco momento, posto che la suddetta norma incriminatrice prevede la reclusione da cinque a quindici anni per chiunque nella formazione di un atto di nascita alteri lo stato civile di un neonato mediante false certificazioni, false attestazioni o altre falsità.

Come si è visto, sotto il profilo certificatorio, i genitori biologici che ricorrono alla pratica della surrogazione di utero nel Regno Unito, in Grecia e nello Stato della California risultano, al termine dei peculiari iter burocratici previsti dalla normativa vigente in ogni singolo Paese, iscritti come i genitori naturali del neonato.

Pertanto potrebbe ritenersi astrattamente configurabile la ricorrenza della fattispecie di reato di cui all'art. 567, comma 2, c.p. in quanto nel certificato di nascita rilasciato dall'autorità straniera appare il nome della madre biologica, anziché quello della donna che ha partorito.#

Tale certificato, ancorché legalmente rilasciato dall'autorità straniera, in Italia non sarebbe conforme a quanto disposto dalla norma di cui all'art. 269, comma 3, c.c. ,# che assume essere madre la donna che ha partorito, evidentemente identificando nella partoriente la madre biologica del neonato#.

La normativa italiana, quindi, pare escludere una scissione tra madre partoriente e madre legale, attribuendo la qualifica di madre in senso giuridico a colei che ha partorito.

Pertanto, nei casi di surrogazione di utero all'estero, occorre domandarsi se sia sufficiente per escludere la ricorrenza del reato di cui all'art. 567, comma 2, c.p., il fatto che una donna conferisca il proprio materiale genetico al fine di pervenire responsabilmente e volontariamente alla procreazione.

La dottrina italiana maggioritaria si è mostrata restia ad accettare un'attribuzione della qualifica di madre alla donna non gestante, adottando come parametro fondante il concetto giuridico di madre l'esperienza della maternità e non il mero dato biologico.

In tal senso si è osservato che, se per integrare il concetto giuridico di padre è sufficiente la derivazione biologica, la qualifica di madre, diversamente, non si esaurisce nell'apporto degli ovociti, rendendosi necessario considerare anche lo strettissimo legame simbiotico che intercorre durante la gravidanza#.

Alla posizione maggioritaria si oppongono due correnti inverse: una, minoritaria, fonda l'attribuzione della qualifica legale di madre sul mero dato biologico, l'altra, più condivisa, ritiene necessario che l'apporto biologico sia accompagnato dalla decisione responsabile di giungere alla generazione di una nuova vita#.

In tale ultimo senso è stato osservato come l'interpretazione tradizionale dell'art. 269, comma 3, c.c. sia eccessivamente riduttiva in quanto risalente ad un'epoca ignara delle tecniche di fecondazione assistita: pertanto l'art. 269, comma 3, c.c. dovrebbe essere interpretato conformemente alla sua ratio (che è quella di conferire certezza all'identità anagrafica dei genitori)#; quindi, madre risulterebbe essere colei che abbia volontariamente e responsabilmente conferito il proprio materiale genetico nell'ambito della surrogazione di utero #.

Se si accogliesse quest'ultima dottrina o quella, ancor più minoritaria, che valorizza  esclusivamente il dato biologico, non si integrerebbero gli estremi del reato di alterazione dello stato.

Tuttavia, come si è visto, la dottrina maggioritaria ritiene applicabile la fattispecie di cui all'art. 567, comma 2, c.p., alla surrogazione di utero.

Le pratiche conseguenze di tale impostazione dogmatica possono essere le seguenti.

Si dia il caso dell'Ufficiale dello Stato Civile che, richiesto di conformare i registri dello Stato Civile alla documentazione proveniente da uno Stato estero attestante il rapporto di filiazione, si rifiuti di provvedervi, sospettando che sia stata compiuta all'estero una surrogazione di utero e, conseguentemente, segnali la cosa alla Procura della Repubblica territorialmente competente.

I genitori biologici verrebbero indagati per il reato previsto e punito dall'art. 567, comma 2, c.p. #,#.

La giurisprudenza, sinora, si è pronunciata in rare occasione sul tema generale della surrogazione di maternità e, solo recentemente, si è trovata a far fronte alle conseguenze giuridiche del c.d. turismo procreativo.

Un'interessante pronuncia, successiva all'introduzione della l. 40 del 2004, proviene dal Tribunale di Napoli che in data 1 luglio 2011 ha ordinato ad un Ufficiale di Stato Civile di trascrivere gli atti di nascita di bambini nati ricorrendo alla tecnica della surrogazione della maternità nello stato del Colorado da parte di un padre single#.

Nel caso di specie il Comune competente, a seguito della richiesta di trascrizione dei certificati di nascita dei minori da parte del Consolato Generale d'Italia a Chicago, si era rifiutato di provvedervi, ritenendo tali atti formati all'estero contrari all'ordine pubblico#.

Il Tribunale di Napoli, chiarito come l'oggetto del giudizio fosse da individuarsi nella possibilità di dare ingresso in Italia, tramite la trascrizione dei certificati di nascita, alla legge straniera che consente la fecondazione eterologa, ai soli fini del rapporto di filiazione, ha affermato che non sussiste alcuna violazione dell'ordine pubblico nella trascrizione dei predetti certificati.

Per giungere a tale conclusione, il Tribunale si è avvalso del concetto di ordine pubblico internazionale, inteso come  l'insieme dei valori condivisi con la comunità internazionale.

Nello specifico è stato affermato che il "divieto di fecondazione eterologa non è giustificato dalla necessità di assicurare l'osservanza dei principi costituzionali in materia di protezione della prole, ma da una scelta pienamente legittima del legislatore [OMISSIS] Pertanto, l'ingresso della norma straniera, ovvero dei suoi effetti, non mette in crisi uno dei principi cardine dell'ordinamento ben potendo coesistere ed armonizzarsi il divieto di ricorrere a tecniche di fecondazione eterologa in Italia con il riconoscimento del rapporto di filiazione tra il padre sociale ed il nato a seguito di fecondazione eterologa negli Stati Uniti"#.

Il concetto di ordine pubblico internazionale in tema di surrogazione di maternità, peraltro, era già stato richiamato dalla Corte d'Appello di Bari in una decisione del 13 febbraio 2009, avente ad oggetto fatti antecedenti all'introduzione del divieto di surrogazione di maternità di cui alla l. 40 del 2004.

Questo il caso: una cittadina italiana e un cittadino britannico, sposati e residenti in Italia, si recano in Inghilterra per la stipulazione e l'esecuzione di due contratti di surrogazione di utero e donazione di ovocita (c.d. contratto di maternità per concepimento e gestazione).

Nei certificati di nascita dei due figli viene inizialmente indicato il nome della madre gestante, ma, a seguito dell'emanazione del parental order da parte del giudice inglese, gli atti di nascita originali vengono riscritti indicando come genitori la coppia committente.

Il Comune di Bari, competente per la rettifica degli atti di nascita, non aderisce alla relativa richiesta sia per la mancata previsione nell'ordinamento giuridico italiano dell'attribuzione di maternità a seguito di surrogazione (i contratti di maternità erano stati conclusi prima del 2004), sia per la mancata sussistenza del requisito della conformità all'ordine pubblico ex art. 64 L. n. 218/1995#.

La vicenda viene sottoposta alla cognizione della Corte d'Appello di Bari che ordina al Comune di procedere alle opportune annotazioni sugli atti di nascita.

Anche se il caso de quo differisce per molteplici aspetti da quanto in commento, l'iter argomentativo seguito dalla Corte è comunque interessante in quanto enuncia principi applicabili anche alla fattispecie della surrogazione di utero di cui qui si tratta.

La Corte, in primis, auspica un intervento del legislatore volto ad evitare la situazione paradossale secondo cui una donna potrebbe essere a tutti gli effetti giuridici madre in uno Stato estero e non in Italia.

La Corte sottolinea infatti come l'evoluzione legislativa e giurisprudenziale dovrebbe essere finalizzata ad attribuire più rilevanza al ruolo di madre "sociale"; interessante notare come, nella motivazione, il Giudicante richiami una pronuncia della Suprema Corte di Cassazione in cui, incidenter tantum, si ammette la qualifica di madre in capo alla "donna che ha espresso il proprio consenso alla fecondazione"#.

La Corte inoltre evoca l'art. 33 della legge n. 218/1995  in forza del quale lo status del figlio viene determinato dalla legge nazionale vigente al momento della nascita, e pertanto, nel caso di specie, avendo i bambini acquisito la cittadinanza britannica ius soli ed ius sanguinis, il rapporto di filiazione è da statuirsi secondo la legge britannica.

A nulla osta, sostiene la Corte, il richiamo all'art. 64 della predetta legge da parte del Comune, in quanto, trattandosi di figli con cittadinanza britannica ed italiana, è senz'altro da ritenersi applicabile il concetto di ordine pubblico internazionale, e quindi la conformità del provvedimento straniero all'ordine pubblico va valutata in relazione ai valori condivisi dalla comunità internazionale.#

Un altro profilo degno di nota concerne il diritto alla libera circolazione negli Stati membri dell'Unione Europea: la Corte argomenta che la donna italiana, per vedere riconosciuta la sua maternità giuridica, sarebbe obbligata a trasferirsi nel Regno Unito e, conseguentemente, si rappresenterebbe una grave violazione degli obblighi comunitari assunti dall'Italia nonché un'inversione di tendenza rispetto alla giurisprudenza della Corte di Giustizia.

Da quanto sin qui rilevato, emerge come la discussa legge del 2004 abbia lasciato un vuoto normativo, nulla prevedendo in ordine alla liceità o meno della surrogazione di utero (e, più in generale, di maternità) attuata all'estero da cittadini italiani.

Pertanto, in attesa che tale vacuum legis  venga colmato dal Legislatore, si deve ritenere che  permanga l'astratta configurabilità del reato previsto e punito dall'art. 567, comma 2, c.p. in capo alla coppia che ricorra alla pratica di surrogazione di utero all'estero, sebbene l'evoluzione giurisprudenziale in subiecta materia mostri notevoli aperture ad un concetto di filiazione non ancorato al mero dato letterale dell'art. 269, comma 3, c.c.#.

Autori di questo articolo: Avv. Luca Mazzanti, Dott.ssa Giuditta Pavan, Studio Legale Mazzanti, Bologna.


Altri articoli che potrebbero interessarti:
In evidenza oggi: