Anche se nel corso delle liti fra marito e moglie può scappare qualche parola di troppo è bene sapere che in certi casi si rischia di commettere reati. Il marito che dice ad esempio alla moglie "ti ammazzo" anche se non passa e di fatto commette comunque reato di minaccia. A dirlo è una recente sentenza (46542/2011) con cui la quinta sezione penale del Palazzaccio ha rigettando il ricorso di un uomo che era stato condannato dal Tribunale di Roma per diversi reati tra cui la minaccia in danno della moglie. Ricorrendo in cassazione l'uomo aveva sottolineato che il reato di minaccia
non si potesse ritenere integrato per l'impossibilità che la sua frase potesse ingenerare nella vittima il timore del male prospettato. Gli Ermellini hanno respinto il ricorso e in proposito stabilito che, quanto all'espressione usata, la sua rilevanza penale, a norma dell'art. 612 c.p., è determinata dalla configurazione della minaccia come reato di pericolo per la sua integrazione non è richiesto che il bene tutelato sia realmente leso, bastando che il male prospettato possa incutere timore nel destinatario, menomendone potenzialmente, secondo un criterio di medianità riecheggiante le reazioni della donna e dell'uomo comune, la sfera di libertà morale. Per suddetti reati, infatti, non è richiesto che il bene (la vita del minacciato) sia realmente leso, ma è sufficiente che il male prospettato possa semplicemente incutere timore al destinatario. E non c'è dubbio che, di fronte alla minaccia di una morte (sebbene la minaccia sia solo verbale), la reazione di una persona comune sia quella di sentirsi potenzialmente limitata nella propria sfera di libertà morale.
Consulta testo sentenza n. 46542/2011

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