Legittima la richiesta di restituzione solo per un grave ed impreveduto bisogno del comodante

Di Maurizio Tarantino - Corte di Cassazione a Sezioni Unite n. 20448 del 29 settembre 2014.

La Corte di Cassazione a Sezioni Unite del 2004 con la sentenza n°13603 (cd. orientamento "Familiarista") aveva affermato che con il contratto di comodato stipulato in favore di un nucleo familiare, ove le parti avevano inteso destinare l'immobile alle esigenze abitative della famiglia e conseguentemente conferire a tale uso il carattere implicito della durata del rapporto, legittima la richiesta di restituzione solo per un grave ed impreveduto bisogno del comodante.

Nel 2010 però, la Corte di Cassazione, Sez. III con la sentenza

n°15986 (cd. orientamento "Contrattualista") si era espressa in senso diametralmente opposto, affermando che il contratto con cui viene concesso un immobile a una coppia di sposi, affinché gli stessi lo adibiscano a casa familiare, è un comodato senza determinazione di durata (si ritorna a qui al "comodato precario") e quindi il comodante può chiedere in ogni momento la restituzione della cosa, non assumendo, per tale indirizzo, alcun rilievo il fatto che l'immobile sia stato adibito a uso familiare e sia stato assegnato in sede di separazione. 

Ebbene, successivamente, la suprema Corte di Cassazione, con l'ordinanza interlocutoria n. 15113 del 17 giugno 2013 tornava ad esprimersi sulla incerta relazione tra l'istituto del comodato ed il provvedimento del giudice della separazione relativo alla assegnazione della casa familiare ponendo, previa puntuale ricostruzione degli orientamenti giurisprudenziali e dottrinali degli ultimi anni, un argine ai precedenti giurisprudenziali della medesima Corte con la rimessione della questione alle Sezioni Unite.

Per meglio dire la Suprema Corte con l'ordinanza in commento affrontava la fattispecie avente ad oggetto il conflitto insorto tra il proprietario di un immobile - concesso in comodato al figlio perché vi abitasse con la famiglia - e la nuora. A seguito della intervenuta separazione fra i coniugi, la sentenza disponeva l'assegnazione della casa coniugale alla moglie affidataria del figlio minorenne.

Il fulcro della questione risiede sulle sorti del contratto di comodato concesso da un terzo ed il successivo provvedimento del giudice di assegnazione della casa coniugale.

Il comodato (o prestito d'uso) è il contratto essenzialmente a titolo gratuito con cui una parte (c.d. comodante) consegna all'altra parte (c.d. comodatario) una cosa, mobile o immobile, "affinché se ne serva per un tempo o per un uso determinato, con l'obbligo di restituire la stessa cosa ricevuta" (art. 1803 c.c.).

A tal riguardo, sulla scia della ricostruzione dell'empasse legislativa e giurisprudenziale (ergo, orientamento Familiarista contrapposto a quello Contrattualista),  l'estensore della ordinanza in commento è stato fortemente critico circa la soluzione delineata dalle Sezioni Unite del 2004 che, pur affermando come postulato, che il provvedimento di assegnazione della casa familiare non sostituisce l'originario contratto di comodato, e che bisogna evitare una "sostanziale espropriazione delle facoltà e dei diritti connessi alla sua titolarità sull'immobile, con evidenti riflessi sulla sfera costituzionale della tutela del risparmio e della sua funzione previdenziale", perviene a soluzioni palesemente in contrasto. "In tal modo si finisce, infatti, per riconoscere sostanzialmente al provvedimento giudiziale proprio quel potere che in via di principio viceversa si intende(va) negargli" soprattutto nell'ipotesi di contratto di comodato a tempo indeterminato".

Difatti, secondo il giudice della presente ordinanza, negare del tutto la possibilità per il comodante di riavere l'immobile non sarebbe ossequioso del dettato del cod. civile, il quale prevede che il comodante possa recedere nell' ipotesi di urgente ed impreveduto bisogno (art. 1809 c.c.), per cui le aspettative della famiglia non possono annullare del tutto il diritto del proprietario/comodante.

Eventualmente si potrebbero bilanciare gli opposti interessi, concedendo un termine al coniuge/comodatario affinché possa trovare un altro immobile dove sistemarsi, e si precisa nella stessa ordinanza come in mancanza di accordo, il termine vada stabilito dal giudice, alla luce della valutazione delle circostanze del caso concreto. (In tal senso N. Frivoli e M. Tarantino in "Il Contratto di Comodato nei rapporti di famiglia", Ed. Giuffrè - Collana Officine del diritto 2014).

La terza sezione con l'ordinanza in commento, quindi, ricostruita così l'impasse legislativa e giurisprudenziale e ricercate alcune soluzioni rimandava la questione al primo Presidente per un'eventuale assegnazione alle Sezioni Unite.  

A distanza di un anno, finalmente, le Sezioni Unite della Corte di Cassazione con la sentenza n. 20448, depositata il 29 settembre 2014, hanno chiarito e risolto meglio l'empasse degli orientamenti contrastanti.

Orbene, gli ermellini con la seguente pronuncia precisano che nel cod. civile esistono due diverse forme di contratto di comodato: quello "in senso stretto", con termine di durata regolato dagli articoli 1803 e 1809 c.c.; l'altro definito "precario" senza termine di durata di cui all'art. 1810 c.c..

Mentre nel comodato precario ex art. 1810 c.c., è consentito il rilascio al comodatario ad nutum, invece l'art. 1809 c.c., con termine di durata, è caratterizzato dalla facoltà del comodante di richiedere la restituzione immediata dell'immobile solo in caso di sopravvenienza di un urgente e sopravvenuto bisogno.

Ed è quest'ultima forma contrattuale che va ricondotto quel comodato di immobile destinato a soddisfare le esigenze abitative della famiglia del comodatario; contratto sorto per uno scopo determinato, quindi per un tempo determinabile per relationem, in considerazione della destinazione della casa familiare ed indipendentemente dall'insorgere di una crisi coniugale.

Ed ancora, le Sezioni Unite precisano che per tutte le doglianze manifestate sull'empasse legislativa e giurisprudenziale, "… la risposta è nel segno di rispettare il potere di disposizione del bene, quale esercitato al sorgere del contratto. Se il contratto ancorava la durata del comodato alla famiglia del comodatario, corrisponde al diritto che esso perduri fino al venir meno dell'esigenza della famiglia."

Alla luce delle considerazioni svolte, stante la riconferma dell'orientamento "Familiarista", il comodante, in sede processuale, potrà chiedere la restituzione dell'immobile solo "in caso di sopravvenienza di un urgente e imprevisto bisogno".

(Vai al testo della sentenza 20448/2014 delle Sezioni Unite)

Maurizio Tarantino

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