Il privato, in qualità di committente di lavori edili da svolgersi nella sua abitazione, risponde di omicidio colposo qualora l'operaio da lui incaricato, in assenza di qualsiasi cautela relativa alla sicurezza, muoia in occasione del lavoro assunto. E' quanto afferma la IV Sezione Penale della Suprema Corte, con la sentenza n. 42465 del 1° dicembre 2010, in merito alla morte di un operaio che, incaricato di svolgere dei lavori edili all'interno di un'abitazione privata, precipitava da un'impalcatura non munita di parapetti e in assenza di qualsiasi cautela atta a scongiurare i rischi di caduta dall'alto. I Giudici di legittimità, respingendo il ricorso del proprietario avverso le sentenze di primo e secondo grado - che lo vedevano condannato quale responsabile della morte dell'operaio -, affermano che in tema di sicurezza sul lavoro "riveste una posizione di garanzia il proprietario (committente) che affida lavori edili in economia a lavoratore autonomo di non verificata professionalità e in assenza di qualsiasi apprestamento di presidi anticaduta a fronte di lavorazioni in quota superiore ai metri due". Precisano, inoltre, che è errata la tesi in diritto secondo la quale "in caso di prestazione autonoma (d'opera) il lavoratore autonomo sia comunque l'unico responsabile della sicurezza". La Suprema Corte, infine, constata come la sentenza
dei giudici di merito abbia accertato con ragionevole certezza l'altezza del punto di precipitazione e l'identificazione della catena causale che lega la morte, conseguente alla caduta, all'assenza di presidi di sicurezza e alle omissioni poste in essere dal committente.

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