La Sesta Sezione Penale della Corte di Cassazione (Sent. 42790/07) ha stabilito che "ai fini della configurabilità del reato di abusivo esercizio di una professione, non è necessario il compimento di una serie di atti ma è sufficiente il compimento di un'unica e isolata prestazione riservata ad una professione per la quale sia richiesta una speciale abilitazione, mentre non rileva la mancanza di scopo di lucro dell'autore o l'eventuale consenso del destinatario della prestazione, in quanto l'interesse leso, essendo di carattere pubblico, è indisponibile". "La condotta esecutiva del delitto di cui all'art. 348 c.p. - prosegue la Corte - consiste nel compimento di atti di esercizio di una professione per la quale sia richiesta una speciale abilitazione da parte dello Stato, senza aver conseguito tale abilitazione". La Corte ha poi evidenziato che "ai fini della configurabilità del reato di abusivo esercizio di una professione, pertanto, è irrilevante l'eventuale scopo di lucro e, in genere, qualsiasi movente di carattere privato; sicché, la consapevole mancanza di titolo abilitativi all'esercizio di tale professione, integra dolo generico richiesto per la sussistenza del reato, ancorché 'l'abusiva' prestazione 'professionale' sia stata del tutto gratuita e con il concorrente consenso del destinatario di tale prestazione". In ultimo i Giudici di Piazza Cavour hanno rilevato che l'art. 348 c.p. ha natura di norma penale in bianco che presuppone l'esistenza di altre disposizioni di legge che stabiliscano le condizioni oggettive e soggettive in difetto delle quali non è consentito l'esercizio di determinate professioni".

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