L'aborto colposo previsto e disciplinato dall'art. 17 della Legge n. 194 del 1978 "presuppone la violazione delle regole cautelari volte a prevenire lo specifico evento ivi considerato, e cioè l'interruzione della gravidanza e la morte del feto, a prescindere dalla possibilità di vita autonoma e, a maggior ragione, dalla vitalità del prodotto del concepimento". E' quanto si osserva in una recente pronuncia della Quinta Sezione Penale della Corte di Cassazione (Sent. 29352/2007) che ha respinto il ricorso promosso da un medico ginecologo condannato dai giudici di merito per aborto colposo "per non avere correttamente valutato lo stato della paziente e in particolare gli esiti del tracciato cardiotocografico che (…) presentava chiare anomalie, sintomatiche di sofferenza, omettendo di intervenire con tempestivo parto cesareo". I giudici della Corte hanno rilevato, tra le altre cose, che "le deduzioni con le quali si dubita della vitalità del feto sarebbero state, semmai, giustificate nell'ambito dell'ipotesi delittuosa originariamente contestata di omicidio colposo
, ma sono non conferenti in relazione a quella - ritenuta sulla base di un orientamento che individua la linea di demarcazione tra le due fattispecie con l'inizio del travaglio - dell'art 17 Legge 194 del 1978".

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