La Corte ha anzitutto confermato, in linea con quanto già stabilito nella sentenza numero 95 del 2025 sull'abrogazione dell'abuso d'ufficio, che la violazione degli obblighi internazionali di criminalizzazione di una condotta può dar luogo a una violazione dell'articolo 117 della Costituzione, che impone al legislatore il rispetto degli obblighi internazionali. Inoltre, essa ha riconosciuto che dall'articolo 12 della Convenzione di Strasburgo discende, per il legislatore, un obbligo di prevedere nell'ordinamento penale italiano il reato di traffico di influenze illecite.
La Corte ha però ritenuto che il concetto di "influenza impropria" utilizzato dalla Convenzione abbia contorni vaghi, che necessariamente debbono essere precisati dal legislatore nazionale. Ciò anche in relazione alla persistente mancanza di una disciplina del lobbying, che consenta di tracciare una chiara linea distintiva «tra illegittime e legittime forme di intermediazione con i pubblici ufficiali, finalizzate a rappresentare e sostenere interessi di singoli individui e imprese, ovvero interessi diffusi e collettivi, nei confronti delle pubbliche amministrazioni e dello stesso legislatore». Pertanto, la scelta del legislatore italiano di fornire una interpretazione restrittiva di "mediazione illecita", ancorata alla necessità che l'accordo tra le parti abbia a oggetto la commissione di un reato da parte del pubblico ufficiale, si colloca secondo la Corte «all'interno dello spazio di discrezionalità che la stessa Convenzione di Strasburgo lascia aperto al legislatore nazionale, chiamato a concretizzare le clausole generali contenute nello strumento internazionale in armonia con i principi del proprio ordinamento, tra cui quello - di rango costituzionale - di precisione della legge penale».
La Corte ha, peraltro, invitato il legislatore a introdurre una organica disciplina delle attività di lobbying, da tempo e da più parti auspicata. «Tale disciplina» - ha sottolineato la Corte - «appare necessaria, al fine di definire con chiarezza le condotte di illecita influenza sui pubblici ufficiali e di prevedere sanzioni per l'inosservanza delle relative prescrizioni; garantendo così trasparenza alle prassi di interlocuzione con le istituzioni, onde assicurare ai consociati la possibilità di un più accurato controllo sull'operato della pubblica amministrazione e dei propri rappresentanti eletti».
L'adozione di una simile disciplina potrebbe, d'altra parte, «consentire al legislatore di rimeditare le attuali scelte in materia di disciplina penale del traffico di influenze illecite, sì da assicurare una più incisiva tutela degli stessi interessi collettivi - essi pure di rango costituzionale - all'imparzialità e buon andamento della pubblica amministrazione contro condotte di indubbia gravità, che restano oggi del tutto sprovviste di sanzione».
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