Nell'epoca digitale il "blocco" sui social network non è solo un gesto tecnico, ma un vero atto relazionale


Dal punto di vista giuridico, rappresenta l'esercizio di una libertà individuale: ciascuno ha il diritto di limitare i contatti indesiderati per tutelare la propria privacy e il proprio benessere. Non vi è, infatti, un obbligo giuridico di mantenere aperti i canali comunicativi, specie se fonte di disagio.

Il disagio psicologico di chi lo subisce

Tuttavia, la prospettiva psicologica e criminologica mette in luce l'altra faccia del fenomeno: chi subisce un blocco sperimenta spesso sentimenti di esclusione, rifiuto e perdita di controllo, simili a quelli derivanti dall'ostracismo sociale studiato in letteratura. Tale sofferenza può generare frustrazione, rabbia o pensieri ossessivi, in alcuni casi anche comportamenti disfunzionali volti a "forzare" la comunicazione.

Per questo, è essenziale affrontare il blocco come un evento relazionale che va rispettato, ma anche compreso. La resilienza psicologica consiste nel trasformare quel silenzio forzato in occasione per elaborare la perdita e riflettere sui propri comportamenti, evitando di scivolare in dinamiche persecutorie o dipendenti.

In definitiva, il blocco è uno strumento di autotutela legittimo, ma che evidenzia quanto il diritto, la tecnologia e la psicologia siano ormai strettamente intrecciati nella gestione dei rapporti interpersonali. La sfida resta quella di educare a un uso maturo dei social, capace di conciliare libertà individuale e responsabilità relazionale.


Avv. Alessandro Pagliuca

Criminologo

alessandropagliuca12@gmail.com



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