Il tribunale di Bologna ha sancito l'illegittimità del licenziamento per giustificato motivo soggettivo preceduto dalla comunicazione sulla mail aziendale di una contestazione disciplinare

Comunicazione addebito sulla mail aziendale e licenziamento

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Il Tribunale di Bologna ha sancito l'illegittimità del licenziamento per giustificato motivo soggettivo preceduto dalla comunicazione di una contestazione disciplinare non conforme ai criteri dell'art. 7 della L. 300/1970, il c.d. Statuto dei Lavoratori, condannando il datore di lavoro alla reintegra nel posto di lavoro e al risarcimento del danno.

La vicenda

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Un lavoratore dipendente di un'azienda del settore metalmeccanico si è visto recapitare due provvedimenti di licenziamento per giustificato motivo soggettivo, a distanza di poco meno di un mese l'uno dall'altro, senza che in precedenza avesse ricevuto alcuna formale comunicazione di addebito disciplinare.

Tali provvedimenti, peraltro non fondati, sono stati tempestivamente impugnati dal lavoratore, prima in sede stragiudiziale e successivamente ricorrendo alla sezione lavoro del Tribunale di Bologna, competente per territorio.

In particolare, nel ricorso, oltre ad aver dedotto l'insussistenza materiale dei fatti posti a fondamento dei licenziamenti, si è evidenziato che i due provvedimenti espulsivi intimati al lavoratore risultavano in evidente violazione dell'art. 7 della L. 300/1970, il c.d. Statuto dei Lavoratori; tale norma condiziona infatti la legittimità del licenziamento disciplinare (che sia per giusta causa o per giustificato motivo soggettivo) allo svolgimento di un procedimento disciplinare ritualmente instaurato.

Si è pertanto chiesta la condanna del datore di lavoro alla reintegra del ricorrente nel posto di lavoro e al risarcimento del danno.

La società resistente si è costituita deducendo che le contestazioni disciplinari erano state comunicate al lavoratore attraverso diverse e-mail inviate sia all'indirizzo di posta elettronica ordinaria sia all'indirizzo di posta elettronica aziendale del ricorrente, per poi spiegare nei confronti di quest'ultimo un'avventata domanda riconvenzionale di risarcimento del danno.

La decisione del Tribunale di Bologna

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La sezione lavoro del Tribunale di Bologna (con sentenza sotto allegata), rigettando tutte le eccezioni e le domande riconvenzionali della società ex datrice di lavoro, ha accolto il ricorso del lavoratore.

Per il Giudice, infatti, non è stato necessario procedere all'accertamento della sussistenza o meno dei fatti materiali asseritamente posti alla base del licenziamento, poiché risultava incontestato, in via assorbente, il mancato rispetto delle formalità sancite dall'art. 7 della L. 300/1970.

Difettava infatti "qualunque prova certa della avvenuta comunicazione da parte della società convenuta e del ricevimento da parte del ricorrente, delle contestazioni disciplinari presupposto", ciò comportando - sulla base della giurisprudenza consolidata della Corte di Cassazione (Cass Sez. Un. N°14916/2016 e Cass. N°15345/2023) - la possibilità di ritenere mancante la contestazione di addebito e, dunque, il licenziamento intimato in violazione del menzionato articolo 7. "Tale mancanza" - prosegue il Giudice del Lavoro - "impone di ritenere insussistente il fatto contestato, con conseguente applicazione della sanzione della reintegrazione nel posto di lavoro di cui all'art. 3, comma 2, del D.Lgs. N°23/2015 (Cass.N°4879/2020 costante sul punto)".

Sulla base di tali motivazioni, il Tribunale di Bologna ha sanzionato l'illegittimità del licenziamento con la c.d. tutela "forte" o "reale", condannando la società resistente alla reintegra del lavoratore nel posto di lavoro - convertibile in un'indennità pari a 15 mensilità retributive - e al risarcimento del danno in misura pari alle retribuzioni lorde non corrisposte dal giorno del licenziamento a quello della reintegra (con interessi legali e rivalutazione monetaria secondo indici Istat, oltre alla regolarizzazione contributiva e previdenziale), nel caso di specie pari a 25 mensilità.


Avv. Francesco Chinni

Avv. Sergio Di Dato

Studio Legale Chinni

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