La Cassazione ha affermato che ai fini del differimento della pena rilevano anche le patologie psichiche


"Ai fini del differimento facoltativo della pena, ai sensi dell'art. 147, primo comma, n. 2) cod. pen., o della detenzione domiciliare ai sensi dell'art. 47-ter, comma 1-ter, Ord.pen., la malattia da cui il detenuto è affetto deve essere grave, cioè tale da porre in pericolo la vita o da provocare rilevanti conseguenze dannose, o comunque deve esigere un trattamento sanitario non attuabile in regime di carcerazione, dovendosi operare un bilanciamento tra l'interesse del condannato ad essere adeguatamente curato e le esigenze di sicurezza della collettività (cfr, ex multis, Sez. 1, n. 789 del 18/12/2013, dep. 2014; Sez. 1, n. 972 del 14/10/2011)". E' quanto affermato dalla prima sezione penale della Cassazione nella sentenza n. 9432/2024 (sotto allegata) accogliendo il ricorso di un detenuto avverso il respingimento della richiesta di concessione della liberazione condizionale o del differimento della pena per motivi di salute.

Gli Ermellini hanno inoltre affermato che "ai fini del differimento della pena, rilevano anche le patologie di entità tale da far apparire l'espiazione della pena in contrasto con il senso di umanità a cui si ispira la norma dell'art. 27 Cost., in quanto capaci di determinare una situazione esistenziale al di sotto della soglia di dignità che deve essere rispettata anche nelle condizioni di restrizione carceraria (Sez. 1, n. 22373 del 08/05/2009; Sez. 1, n. 27352 del 17/05/2019)".

"La sussistenza di una patologia psichica sopravvenuta alla carcerazione - spiegano - deve, pertanto, essere accertata e valutata al pari delle patologie fisiche, potendo anch'essa dare luogo ad una incompatibilità delle condizioni di salute con la detenzione carceraria".

Il Tribunale di sorveglianza, nell'ordinanza impugnata, non ha applicato tali principi, in quanto ha valutato in modo non approfondito le condizioni di salute del ricorrente, per cui nel caso di specie, concludono i giudici di piazza Cavour accogliendo il ricorso, occorre "accertarsi, se necessario mediante perizia, la effettiva sussistenza di uno stato depressivo e la sua gravità. La depressione è, infatti, una patologia che, se particolarmente grave, può risultare incompatibile con la prosecuzione della detenzione in carcere, rendendo quest'ultima una fonte di sofferenze aggiuntive, incompatibili con il concetto di rispetto della dignità umana e con la finalità rieducativa della pena, o causare il peggioramento delle condizioni psichiche del detenuto".



Prof. Dr. Giovanni Moscagiuro

Studio delle Professioni e Scienze forensi e Criminologia dell'Intelligence ed Investigativa

Editori e Giornalisti europei in ambito investigativo

email: studiopenaleassociatovittimein@gmail.com

Scarica pdf Cass. n. 9432/2024

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