La Cassazione ha ritenuto integrato il reato di violenza sessuale anche nel caso in cui il rapporto sessuale è stato consumato approfittando dello stato di prostrazione, angoscia o diminuita resistenza in cui la vittima è ridotta

Violenza sessuale del marito nei confronti della moglie: il caso

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Nella vicenda in esame, veniva in rilievo la fattispecie di violenza sessuale di cui all'art. 609-bis c.p., che l'imputato aveva perpetrato a danno della propria moglie.

Nell'ambito dei due giudizi di merito che erano stati aditi, i giudici avevano ritenuto integrato la suddetta fattispecie delittuosa.

Avverso la sentenza emessa dalla Corte d'appello di Reggio Calabria, con cui, per quanto qui rileva, il marito veniva condannato alla pena di 4 anni e 6 mesi reclusione, l'imputato aveva proposto ricorso dinanzi alla Corte di cassazione. Tra i motivi d'impugnazione formulati dal ricorrente in sede di legittimità, veniva contestata la violazione di legge dell'art. 609-bis c.p., per mancanza, contraddittorietà e illogicità della motivazione. Dal momento che, ad opinione dell'imputato, la vittima non era stata in grado di chiarire se il rifiuto ai rapporti sessuali fosse stato comunicato al marito o rimasto al suo interno, senza poter incidere sulla volontà dell'imputato.

La testimonianza della vittima nei reati sessuali

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La Corte di Cassazione, con sentenza n. 4199/2024 (sotto allegata), ha respinto il ricorso presentato dal marito poiché inammissibile.

Per quanto, in particolare, riguarda la fattispecie delittuosa di violenza sessuale allo stesso addebitata, la Corte ha anzitutto ricordato che "Le dichiarazioni della persona offesa possono da sole, senza la necessità di riscontri estrinseci, essere poste a fondamento dell'affermazione di responsabilità penale dell'imputato, previa verifica, corredata da idonea motivazione, della credibilità soggettiva del dichiarante e dell'attendibilità intrinseca del suo racconto, che peraltro deve, in tal caso, essere più penetrante e rigorosa rispetto a quella cui vengono sottoposte le dichiarazione di qualsiasi altro testimone", sul punto, prosegue il Giudice di legittimità "le regole dettate dall'art. 192, comma terzo, cod. proc. pen. Non si applicano alle dichiarazioni della persona offesa, le quali possono essere legittimamente poste da sole a fondamento dell'affermazione di penale responsabilità dell'imputato".

Il consenso della vittima di reati sessuali

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Passando all'esame delle modalità di esternazione del consenso della vittima nell'ambito dei reati sessuali, la Corte ha in primo luogo ripercorso la ricostruzione dei fatti di causa. A tal proposito, la Corte ha evidenziato che la donna aveva deciso di dormire separata dal marito per evitare i rapporti sessuali con lui. Nonostante ciò, il marito, durante la notte, si introduceva in camera della moglie, dove lei dormiva con i figli, e insisteva per dei rapporti sessuali; rispetto a tali richieste "la donna gli manifestava il suo dissenso ma l'imputato insisteva e la donna per evitare di farlo adirare e di svegliare i figli acconsentiva ai rapporti sessuali. La donna non urlava in quanto avrebbe coinvolto nei fatti i figli che dormivano".

Posto il suddetto quadro fattuale, la Suprema Corte ha ripercorso e condiviso la costante giurisprudenza di legittimità formatasi sul punto, con cui è stato affermato che "In tema di reati sessuali, ai fini della configurabilità del delitto di cui all'art. 609-bis cod. pen. non si richiede che la violenza sia tale da annullare la volontà del soggetto passivo, ma che tale volontà risulti coartata dalla condotta dell'agente; né è necessario che l'uso della violenza o della minaccia sia contestuale al rapporto sessuale per tutto il tempo, dall'inizio sino al congiungimento, essendo sufficiente che il rapporto non voluto sia consumato anche solo approfittando dello stato di prostrazione, angoscia o diminuita resistenza in cui la vittima è ridotta".

Sulla scorta della sopraesposta ricostruzione normativa e giurisprudenziale, la Corte ha dunque ritenuto che il ricorso proposto dall'imputato fosse articolato in maniera del tutto generica, oltre a reiterare le motivazione dell'appello; inoltre il ricorso "ripropone acriticamente dubbi soggettivi, adeguatamente risolti dalle decisioni di merito".

Per tali ragioni la Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso e condannato il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Scarica pdf Cass. n. 4199/2024

Foto: Foto di Kleiton Santos da Pixabay.com
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