Per la Cassazione, se l'offeso non risponde tempestivamente alle frasi offensive inviate tramite chat condivisa con altre persone, non è integrata la fattispecie dell'ingiuria ma quella della diffamazione, poiché viene meno il presupposto dell'immediatezza

Frasi offensive inviate su chat condivisa

La vicenda in esame prende avvio dalla decisione emessa dalla Corte d'Appello di Catanzaro che ha dichiarato di non doversi procedere nei confronti dell'imputato, in ordine al reato di diffamazione dallo stesso commesso tramite la formulazione di espressioni oltraggiose inserite in una chat di tipo aperto su Facebook, poiché il reato era estinto per prescrizione.

Ciò posto, rispetto al fatto contestato il Giudice di merito aveva in particolare evidenziato che "la chat su cui si svolse la conversazione incriminata permetteva ai diversi iscritti di partecipare e di intervenire anche non in tempo reale; e che, all'atto della pronuncia delle frasi offensive (..), la persona offesa non era presente".

In questo senso il Giudice di secondo grado aveva concluso ritenendo che la condotta fosse riconducibile alla fattispecie di diffamazione "in quanto l'offesa è stata profferita ai danni di persona in quel momento assente e comunicata ad almeno due persone, presenti o distanti".

La tempestività delle "parole offensive"

Avverso la suddetta decisione la persona offesa ha proposto ricorso dinanzi la Corte di Cassazione, rilevando che "il fatto che la risposta alle espressioni offensive del ricorrente siano intervenute successivamente non significa che le espressioni offensive siano state lette in differita. La stessa persona offesa ha dichiarato di aver partecipato alla discussione in chat diretta, ovvero dopo qualche secondo, qualche minuto, dall'inserimento delle espressioni offensive, e quindi è assolutamente certo che fosse presente alla conversazione. Di qui la necessità di qualificare il fatto come ingiuria e non come diffamazione e conseguentemente l'annullamento senza rinvio della sentenza impugnata".

Rispetto a tale contestazione la Corte di Cassazione, con sentenza n. 409/2024 (sotto allegata), ha respinto il ricorso proposto dichiarandolo inammissibile, sulla scorta delle considerazioni che seguono.

La Corte, dopo aver brevemente ripercorso i fatti di causa, rilevando in particolare che "come si trae dalle stampe delle conversazioni su chat delle frasi incriminate la persona offesa non era presente, tant'è che replicò intervenendo sulla chat a distanza di oltre venti minuti", ha riferito quanto segue.

Poste le premesse in fatto, il Giudice di legittimità ha ritenuto che la qualificazione compiuta dalla Corte territoriale è ineccepibile, dal momento che "integra il delitto di diffamazione, e non anche la fattispecie depenalizzata di ingiuria aggravata dalla presenza di più persone, l'invio di messaggi contenenti espressioni offensive nei confronti della persona offesa su una "chat" condivisa anche da altri soggetti, nel caso in cui la prima non li abbia percepiti nell'immediatezza, in quanto non collegata al momento del loro recapito".

Concluso l'esame in punto di fatto e in punto di diritto, la Corte ha dunque rigettato le richieste avanzate dal ricorrente e condannato lo stesso al pagamento delle spese processuali.

Scarica pdf Cass. n. 409/2024

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