Per la Suprema Corte, è necessario superare ogni ragionevole dubbio circa la rilevanza causale del comportamento alternativo corretto, necessario per impedire l'evento lesivo

Nesso causale tra il comportamento del sanitario e il decesso del paziente

Nel caso all'esame della Cassazione, il Giudice di primo grado aveva condannato i medici protagonisti della presente vicenda, ritenendoli responsabili dell'omicidio colposo di un loro paziente.

Il Tribunale aveva fondato la propria decisione sul rilievo che i medici non avevano individuato, nel corso del primo intervento e con condotta imperita, la presenza di patologie che avevano poi costretto gli stessi a procedere con un secondo intervento, il quale aveva appunto determinato il decesso del paziente.

Avverso la sentenza di condanna, i medici avevano proposto appello e la Corte territoriale aveva ribaltato la decisione del Giudice di prime cure, assolvendo i medici, non avendo ritenuto integrato il nesso causale tra la loro condotta e l'evento della morte.

La Corte d'Appello aveva, in particolare, fondato l'assoluzione degli imputati sulle conclusioni cui è pervenuto il perito tecnico in punto di nesso causale, considerato che era stato ritenuto impossibile stabilire con certezza se il secondo intervento avesse avuto o meno influenza causale rispetto al decesso, trattandosi, come detto, di paziente le cui condizioni di salute erano già gravemente compromesse in ragione della pregressa patologia di cui lo stesso soffriva.

Sulla scorta di quanto sopra riferito, il Giudice aveva, dunque, escluso la rilevanza causale della condotta negligente degli imputati, posto che non era stato possibile, tramite gli approfondimenti tecnici svolti, raggiungere "un grado probabilistico nell'escludere l'evento morte in caso di effettuazione (dei dovuti approfondimenti) nel corso del primo intervento".

La sentenza di assoluzione veniva impugnata, ai soli effetti civili, dalle parti costituite nel giudizio di secondo grado.

La decisione della Corte di Cassazione

Con sentenza n. 47409/2023 (sotto allegata) la Suprema Corte, per quanto attiene gli aspetti d'interesse del presente esame, ha confermato gli esiti cui era giunto il Giudice di secondo grado, ritenendo che le motivazioni formulate dalla Corte d'Appello fossero immuni da vizi logici, o da errori in diritto rilevabili in sede di legittimità.

Invero, spiega la Corte, il Giudice del merito aveva correttamente posto a fondamento della propria decisione le risultanze della perizia espletata in sede dibattimentale "valutandola in maniera congrua e non irragionevole".

In altri termini, prosegue la Suprema Corte, sulla scorta dei dati indiziari processualmente emersi, il Giudice di secondo grado non era stato in grado di superare il dubbio (ragionevole) circa la rilevanza e decisività del comportamento alternativo corretto dei medici, necessario per impedire il verificarsi dell'evento morte del paziente, secondo una congrua e non illogica valutazione di merito, come tale insindacabile in Cassazione.

La Corte conclude il proprio esame ravvisando come, le doglianze avanzate dalla parte ricorrente "nel primo motivo di ricorso neanche si confrontano con la soprariportata ratio decidendi, insistendo sugli aspetti colposi della condotta degli imputati (…), senza considerare che l'assoluzione si fonda, appunto, su un diverso aspetto, costituito dalla ritenuta insussistenza (in termini dubitativi ex art. 530, comma 2, cod. proc. pen.) del nesso causale, in coerenza con i dati processuali emersi, non riesaminabili nella presente sede di legittimità".

Sulla scorta di quanto sopra rappresentato il Giudice di legittimità ha quindi rigettato i ricorsi e ha condannato i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.

Scarica pdf Cass. n. 47409/2023

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