Riflessioni del Prof. Enrico Cuccodoro su leggi e giustizia, pluralismo sociale, formazione dei nuovi cittadini

Un saggio di gran pregio, meritevole di studio dopo una prima lettura, è il regalo del Prof. Enrico Cuccodoro alla rubrica Law In Action: docente di diritto costituzionale presso UniSalento, è il coordinatore nazionale dell'Osservatorio istituzionale per la libertà e la giustizia sociale "Sandro e Carla Pertini". Già con l'articolo "I 75 anni della Costituzione", pubblicato il 26 aprile 2023, il caro Enrico ha avviato la collaborazione con il nostro Portale. Ora ci introduce con padronanza assoluta della materia, passione e rigore tecnico-giuridico ai raccordi intercorrenti tra leggi e giustizia, pluralismo sociale e formazione dei cittadini di domani. Sono numerosi i riferimenti ad Autori giuridici che abitano il nostro virtuale Pantheon. Notevoli i cenni alla c.d. "autonomia differenziata" e all'essenziale diritto alla tutela della salute. La chiusa è dedicata alle nostre stelle polari Piero Calamandrei e Sandro Pertini. Gli spiriti-guida che tanto ci mancano. Precisiamo che i neretti sono i nostri.

Un "dono" che, proprio nella Giornata Nazionale della Legalità, è dedicato a chi ha sacrificato con eroismo e dignità la vita e ogni personale energia in scelte di coraggio, entusiasmo ed emozione, ammirevoli icone civili e morali per noi tutti, cittadini di questo Paese, partecipi ai valori fondamentali della nostra Costituzione.

Evviva, oggi, rivolto alle numerosissime figure luminose che hanno fatto argine alla corruzione, alle ingiustizie e illegalità, mali immensi della Repubblica.

Buona lettura!

COSTITUZIONE E LEGALITÀ

Riflessioni su leggi e giustizia, pluralismo sociale, formazione dei nuovi cittadini

di Enrico Cuccodoro

Docente di diritto costituzionale UniSalento

Coordinatore nazionale Osservatorio istituzionale per la libertà e la giustizia sociale "Sandro e Carla Pertini"


È qualche tempo che vado riflettendo intorno alla dimensione della crisi, un itinerario che pervade le massime istituzioni, e si condensa nel terreno concreto della esperienza e del giudizio per ogni cittadino avvertito, e con particolare considerazione e sensibilità riguardo pure la sfera del dinamico, problematico "mondo" dei giovani di adesso, il futuro del Paese, con una propizia ventata di modernità anche per chi chiamiamo, oggi, degni "alfieri" della Repubblica.

A tale logica si lega l'opportunità di illustrare alcune valenze sottese al ricorrente tema della crisi, oggettiva e soggettiva, della legge, della legalità e della giustizia nell'ambito della pervicace trasformazione delle tradizionali funzioni statuali e nei rapporti autorità/libertà individuali e collettivi. Essi segnalano l'attraversamento di una diffusa stagione distinta dalla disfunzionalità infrapoteri e intersecante insieme i soggetti e gli apparati chiamati ad attuare le molteplici manifestazioni d'indirizzo, spesso "paralizzate" al momento clou della concreta decisione; purtroppo con acute, annose compromissioni di legalità nell'illegalità e illegittimità, corruzione, ingiustizie, inefficienze.

L'analisi giuridica si presenta qui qualificante, rispetto ad altri approcci tematici di parallelo indirizzo sociologico, economico o politologico. Poiché, il legame fra Stato e Giustizia, come è noto, è divenuto il punto di attacco dell'architettura positivistica, allo stesso modo in cui il parlamentarismo, per propria parte, prova a conchiudere "il porticato fra lo Stato e la società civile". Anche per questo, allora, si deve rimarcare l'importanza che il diritto, "storico" oggetto di mutevoli e differenziati ideali di giustizia, rifugge da motivo tanto in senso semplicemente formalistico (nel richiamo formale delle norme giuridiche) ovvero materialistico (sia nel comportamento dei soggetti, sia nel contenuto estrinseco delle norme); quanto, infine, teleologico (nell'esito complessivo della giustizia, come nel campo emergente della giustizia costituzionale, poi civile, penale, amministrativa, fiscale, sociale), acquisendo il peculiare carattere unitario di una tecnica della convivenza sociale possibile, quale più semplice controllo dei comportamenti devianti o dell'indifferenza e relativismo emergenti.

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Il diritto è così abbinato alla tipologia dei valori e al grado di loro incidenza e radicata diffusione nel sistema. E, dunque: si va dal senso di giustizia del giusnaturalismo al positivismo della "certezza" e dei dogmi di "coerenza" e "completezza", l'una "unità negativa" che si richiede, l'altra quale "unità positiva" che si aspira a realizzare sempre nell'ordinamento (da Savigny a Modugno), con figure o clausole generali quali formule "aperte" da colmare di vario significato ermeneutico. Ad esempio, le espressioni della "buona fede", "diligenza" o "giusta causa", dalla "funzione sociale" all'"interesse generale", fino al "buon andamento" e "imparzialità dell'amministrazione", cooperazione e scelte odierne di stabilità e coesione, così come segnaliamo l'"autonomia" e "indipendenza" della magistratura, contemperando o bilanciando in una gamma di possibili raccordi, principi e valori oscillanti dalle garanzie e tutele ai parametri di certezza, efficacia, efficienza.

La linea di confine fra tutela dei diritti e amministrazione di interessi variamente configurabili si fa tanto più incerta quanto più problematico ed esteso, spesso, è il tentativo di conchiudere la "giustiziabilità" di situazioni giuridiche soggettive nelle forme e rimedi garantistici presenti, codificati nella temperie storico-politica tutt'altro che aperta o ricettiva nel riguardo del dinamismo sociale e del pluralismo verso nuovi diritti, libertà, garanzie e "ideali" che via via emergono o si accrescono oggi, ove si abbia riguardo alla sfera primaria della salute, delle tutele per il lavoro, l'ambiente, gli ecosistemi, soprattutto, la convivenza civile, la pace. In realtà, anche da tali prospettive, si è detto: "la spada della giustizia non è nelle mani della giustizia stessa, ma in quelle delle persone naturali. Si determina così uno scarto tra l'ideale e l'esperienza reale", appunto come ci indica Höffe nelle tendenze della democrazia, in bilico sempre nell'era della globalizzazione e tanto discussa mondializzazione, se difetta il senso di partecipazione, responsabilità, cittadinanza consapevole.

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Le concezioni di legalità e giustizia si contraddistinguono ora, sulla scia di un lungo percorso evolutivo, per una peculiare e sempre più profonda scissione tra diritti e leggi (Bobbio, Zagrebelsky, Silvestri). Questo "sdoppiamento" concettuale, di risalente nascita ed evoluzione, che sembra ormai permeare in modo caratteristico spirito e lettera delle Carte costituzionali, si è imposto e radicato negli ordinamenti giuridici contemporanei, a tal punto che, allo stato, si profila l'urgenza di una ricomposizione ed armonizzazione, proprio tra le disposizioni positive del legislatore, quali le leggi (a valenza di rango costituzionale e formale), e quel nucleo fondamentale di diritti e garanzie universali e "naturali", che ne costituiscono "storico antecedente" e "premessa logico-giuridica", vessillo da poter sbandierare, sotto ogni cielo, delle libertà ed espressioni di ragione e ragionevolezza del diritto per tutti, donne e uomini del mondo contemporaneo.

La necessità di ricongiunzione e più adeguata connessione è avvertita, in modo ancora più acceso, nell'odierno contesto come il nostro, all'interno del quale si assiste, in primis sul piano del sistema delle fonti normative, ad una progressiva erosione della centralità della legge: quella legge che, primario strumento del potere, scevro da limitazioni o interpretazioni "distorsive" (Dura lex, sed lex!), costituiva, nel pensiero giuridico pre-costituzionale, la garanzia unica e sufficiente della legalità e legittimità dell'azione dello Stato. In altre parole, nelle prime esperienze statuali moderne, vi era una quasi totale sovrapponibilità tra ciò che si considerava "giusto", e ciò che era "legale", ossia affermato dall'onnipotente sovranità della legge scritta e, in definitiva, sancita dal presidio, pur esteso o limitato, delle Assemblee rappresentative. Quindi, la legge costituiva strumento "per tutte le avventure del potere", democratico o antidemocratico, e la sua "forza" diveniva corollario applicativo al servizio, volta in volta, delle classi via via emergenti, di giacobini piuttosto che della borghesia burocrate o mercantile, in regimi liberaldemocratici o replicata in sistemi oppressivi e dittatoriali, fino ai mutamenti che viviamo.

A causa di notevoli, significative trasformazioni degli equilibri tra organi e poteri costituzionali, nello scenario attuale il Parlamento ha abdicato, spesso, alla sua storica e consueta funzione politico-rappresentativa, che da tempo definiamo nel "mito" della sua centralità nel sistema; un ruolo che sempre più appare "dimidiato da un 'monocameralismo di fatto' che ne irride ragione e funzione" (F. Clementi). La legge ha perduto così la sua antica onnipotenza e onnicomprensività del poter "tutto" disciplinare: ove, considerata ex se, senza cioè essere ricondotta all'originario "spirito costituzionale" e al sistema di garanzie e diritti umani universali che qui davvero si esprimono. Anche perché, spesso, revisioni della Costituzione e norme costituzionali di indirizzo o completamento si intendono introdurre, talvolta, con occasionali "colpi di maggioranza", prescindendo da un tanto auspicato idem sentire de republica di più vasto, omogeneo consenso, da proteggere in primo luogo, senza "smarrimenti" (G. Zagrebelsky).

Sul piano materiale del tempo di crisi l'azione legislativa si risolve in un mero artificio, quasi una finzione di un testo incapace di imporsi a fortiori e stabilmente, nel tessuto sociale e culturale della Nazione. Del pari, molte volte norme inidonee a favorire un'identificazione unitaria delle esigenze normative e politiche, nel proprio lessico foriere, talora, di potenziali ambiguità, oscurità, incertezze, aberrazioni o tirannie (Ainis), per rispondere alla frammentazione della società e invadenza dei gruppi di pressione, rappresentare interessi di lobbies in campo, con evidente scomposizione di scelte e modalità extravagantes.

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La legalità, dunque, intesa come coerenza al dettato "sovrano" della legge, non è più identificabile, da sola, come "giustizia" pleno jure, ossia come rispetto delle garanzie e delle libertà individuali e collettive, che, invece, via via prescindono dall'utilizzo dello strumento legislativo per il loro riconoscimento, e si autoaffermano ed autoimpongono, in quanto prerogative essenziali ed originarie dotate di peculiare ed innata "forza" costituzionale, quali norme fondamentali caratterizzanti l'ordinamento giuridico degli Stati moderni.

Per promuovere una cultura della legalità, impregnata dell'ideale di giustizia, si deve valorizzare specialmente l'etica della responsabilità.

La Costituzione, in questa dinamica, diviene essenziale esigenza di esprimere la legittimità dell'ordinamento, accanto alla sua piena legalità, trascendendo l'artificio per trasformarlo, appunto, in unificante forza civile e culturale di comuni identità e valori sia sociali, sia politici: della convivenza di tutti e per ciascuno!

All'attuale discrimine concettuale tra diritti e leggi sembra, infatti, corrispondere, sul piano funzionale, un principio operativo che si realizza attraverso una ripartizione di compiti giuridici, nella misura in cui alla Costituzione spetterebbe, con la sua rigidità, di individuare e "certificare", in cataloghi dispositivi, quei diritti fondamentali intangibili, intesi ormai alla stregua di "dotazioni organiche" dei cittadini, "sostantivi di valore" indipendenti dalla volontà del legislatore, che costituiscono reali essenze conquistate e rese vitali nel progredire del cammino della civiltà pluralista. Mentre, alla legge competerebbe soltanto l'espressione degli interessi dei gruppi politici maggioritari, secondo la direttrice del principio della rappresentanza, vincolati al rispetto di quei diritti preesistenti, distinti da una sconfinata dimensione teleologica e da una potenzialità di sviluppo, attuazione e integrazione dell'indirizzo "costituzionale" che, appunto, nel tempo si fa via via disegno politico legislativo "ordinario".

La Carta costituzionale, dunque, svela una portata rivoluzionaria e innovatrice nel vigente diritto. Per la prima volta nella storia, essa "non si limita a fotografare (e cristallizzare) la realtà, ma si pone (anche) come punto di contestazione e di resistenza in difesa dei diritti e dell'uguaglianza delle persone" (L. Pepino). Insomma, la Costituzione "vissuta e inverata ogni giorno" (S. Mattarella).

Lo scenario si evidenzia ulteriormente per l'esistenza, nel contesto europeo ed internazionale, nella stratificazione di ordinamenti vincolanti della sfera giuridica dei cittadini che, con ancor rinnovata urgenza, impone nell'ambito di una consolidata pratica di limitazione di e delle sovranità, l'instaurazione di un nuovo equilibrio incentrato sul "dualismo" diritti e leggi, volontà politica e garanzie degli individui, soprattutto nelle vicende alle quali ci è dato assistere, adesso.

A tal proposito, si pensi alle attualissime vocazioni di tutela sostenibile dell'ambiente e centralità dell'ecologia, della certezza a protezioni crescenti del lavoro e dunque della sfera complessiva di giustizia e protezione sociale (salvaguardie familiari e individuali, sanità, istruzione, libertà di circolazione, sicurezza, privacy, ecc.), valori, questi, che si impongono quali linee direttive fondamentali delle democrazie, tali da pervadere trasversalmente gli Stati, i suoi organi, le collettività al centro e nelle c.d. "periferie esistenziali" o "reali", come ci ammonisce, ora vigorosamente, Papa Francesco per contrastare le c.d. "vite di scarto" e le assai frequenti forme di discriminazione dei nostri tempi, già messe a nudo nella società resa liquida, fatta emergere da Bauman. Effetti, questi del riscontrato modo di vivere che pure scivola spesso nel relativismo dell'agire di moltissimi; cioè, in una temporalità che sotto implicazioni e stimoli eterogenei di modernità e globalizzazione sembra accelerare ogni cambiamento e dimensione del presente, come il dover affrontare la quotidianità nelle sfide verso un domani che si può volere diverso? (Pascal Chabot).

È auto-evidente, quasi lapalissiano, alla luce di queste considerazioni, soprattutto nell'ottica riscontrata dell'atteggiarsi dei poteri dello Stato, considerare come il rispetto della legge, nella sua "statica" dicitura, non possa e non debba più ritenersi, da solo, l'equivalente del rispetto della giustizia, così come, d'altro canto, non si può sostenere che, ciò che viene considerato illegale sia, del pari, e per ciò solo, ingiusto, e viceversa. La giustizia, oggi più che mai, risponde ad istanze che richiedono molto più che un rigido attenersi ad un dato scritto ed astratto, e che presuppone, invece, un'adesione ben più profonda e radicale ad un complesso sistema di valori del vivere civile comunemente condiviso e reso il modo onesto di agire.

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Legalità e giustizia, dunque, si prestano a valutazioni in negativo come salute e malasanità, sostenibilità e inadeguatezza ambientale, disagio sociale, parzialità, disonestà, ecc.

Alla luce del quadro italiano, la malasanità sembra funzionare a due velocità: al Centro-Sud, infatti, si verificano i casi più eclatanti, spesso e volentieri finiti sulla stampa. Vi è una valida spiegazione: la sanità continua ad essere sinonimo di potere, di denaro, di voti e di accaparrati "clienti". Le molteplici vicende discusse negli ultimi anni, aventi come protagoniste le Regioni del Mezzogiorno, hanno posto in luce il rapporto contorto tra sanità, affari e politica…

La legalità (formale), forse, può apparire come quel tal mondo "perfetto" disegnato dal legislatore; tuttavia, se, però, alle prescrizioni date su diritti civili e sociali non si accompagnano le risorse necessarie siamo davanti, di fatto, alla violazione (sostanziale) del principio affermato. Ecco affacciarsi, pertanto, la mancata attuazione della uniformità di prestazioni o dell'assistenza su tutto il territorio nazionale, anche alla luce delle coordinate fondamentali espresse dalla Corte costituzionale, ad esempio per certi versi nella sent. 22/2022, al fine di coniugare protezione sociale, salute e diritti individuali, nell'auspicio reclamato di riforme adatte a superare criticità riscontrate, secondo un'efficiente ed incisiva cooperazione tra Stato e Autonomie territoriali. Sicché, notevole è la preoccupazione per il disallineamento delle Regioni che hanno risorse scarse nei loro bilanci, che sono poi, prevalentemente le Regioni del Sud, non soltanto con limitatezza finanziaria accertata, ma anche con una popolazione che demograficamente si va riducendo e, in prospettiva, con rischi di essere maggiormente sfavorite nel pregiudiziale, divaricante disegno di c.d. autonomia differenziata e vera e propria disuguaglianza territoriale.

Qui, soprattutto, in un dizionario immaginario che annovera l'essenziale diritto alla tutela della salute devono essere chiamati in causa due acronimi che innervano le prestazioni assistenziali e sociali: i LEA e i LEP. Come è noto, la sigla LEA indica i Livelli Essenziali di Assistenza e fa riferimento alle prestazioni e ai compiti sanitari che il Servizio Sanitario Nazionale deve offrire a tutti i cittadini sul territorio, sia gratuitamente sia attraverso il pagamento di una quota di partecipazione (ticket). Con la modifica del Titolo V della Costituzione e la posizione centrale affidata alle Regioni nella organizzazione sanitaria, lo Stato ha assunto un ruolo nuovo e diverso rispetto alla legge istitutiva del Servizio Sanitario Nazionale (L. 833/1978). Poiché, mentre lo Stato definisce i LEA, il "Comitato LEA" ne verifica l'attuazione e determinazione in ambito nazionale, attraverso un lavoro istruttorio degli uffici del Ministero della Salute, con la finalità di contemperare efficacia ed efficienza del fabbisogno e l'equilibrio finanziario (di sostenibilità) dell'intero sistema sanitario. Una "scommessa di compatibilità" che dalla giurisprudenza della Corte costituzionale, richiamata nel passaggio dell'annuale esternazione della Presidente della Consulta, prof.ssa Silvana Sciarra, del 13 aprile scorso, è vagliata assai attentamente (ad es., sent. 161/2022; chiosa di C. Ciardo).

La sigla LEP individua, invece, i Livelli Essenziali di Prestazione e fa riferimento alle prestazioni e ai servizi che devono essere assicurati in modo uniforme in tutto il territorio italiano per garantire i diritti civili e sociali dei cittadini, la cui "determinazione", ex art. 117, comma 2, lett. m) è materia di competenza esclusiva dello Stato. Anche per ciò, i LEP hanno assunto, oggi, un ruolo-cardine nel quadro della c.d. "autonomia differenziata", o "regionalismo asimmetrico" (ove dall'Italia si guarda, ad esempio, alla formula di stimolante esperienza nella "decentralizzazione asimmetrica" fra le Comunità Regionali della Spagna, garantite diversamente in Costituzione), secondo i dieci articoli del Ddl. recante: "Disposizioni per l'attuazione dell'autonomia differenziata delle Regioni a statuto ordinario ai sensi dell'articolo 116, terzo comma, della Costituzione" (A.S. n. 615, del 23 marzo 2023, presentato dal - solo - Ministro per gli affari regionali e le autonomie, Calderoli; Ddl. collegato alla manovra di finanza pubblica, ex art. 126-bis Reg. Senato). I Livelli Essenziali di Prestazione, che fissano il quantum di garanzia dei diritti sul territorio nazionale (con evidente impatto su esistenti divari e tutele) sono determinati con DPCM (quali atti deliberati dal Consiglio dei Ministri e, tuttavia, come si sa, non sindacabili dalla Corte costituzionale). A tal fine, l'ultima legge di bilancio ha istituito presso Palazzo Chigi una apposita "Cabina di regia": il Comitato tecnico-scientifico (CLEP: organismo presieduto dal prof. Sabino Cassese) con funzioni istruttorie e attività preparatoria (organizzato nel lavoro di dieci "sottogruppi" distinti per insiemi di materie), che entro 2023 deve individuare detti livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali garantiti su tutto il territorio nazionale avendo, tra gli altri indicatori, il parametro della "spesa storica" dell'ultimo triennio, dato di partenza sulla base delle indicazioni della Commissione tecnica per i fabbisogni standard, prevedendo in ultimo, il parere parlamentare che se non perviene dopo 45 giorni consente comunque di procedere. Sicché, le Camere avranno ben poca voce da esprimere sul pacchetto di riforma "Calderoli", a chiusura dell'iter, così come tali nuove norme legislative avranno impatto su una riconosciuta, ampia "de-costituzionalizzazione formale" delle competenze Stato-Autonomie regionali per tutte le Regioni interessate dall'aperto processo di differenziazione tanto nel confine delle attribuzioni, quanto e non ultima discutibile posizione, nel rapporto fra la legge ordinaria del "provvedimento Calderoli", ove definitivamente approvato ad hoc, e le singole leggi di differenziazione (secondo l'art. 116, comma 3, Cost., approvate invece a "maggioranza assoluta", sulla base di intesa fra lo Stato e la Regione interessata e dunque leggi "rinforzate". Sulla questione, ben osserva e considera R. Calvano, quindi, che per queste leggi di differenziazione, c.d. "leggi figlie", ben più difficile sarà la loro modifica rispetto alla legge ordinaria "Calderoli", che da c.d. "legge madre" - derogabile nella volontà di un prossimo legislatore che, all'occorrenza, intenderà intervenire ad hoc - disciplinerà quel differente procedimento di loro approvazione: insomma e paradossalmente, la futura "legge Calderoli" avrà posizione più debole delle norme "figlie" che essa disciplina e che queste, pure, potrebbero voler eliminare o trasformare).

Giova segnalare che le risorse umane, strumentali e finanziarie per l'esercizio di tali funzioni sono determinate da una commissione paritetica Stato-Regioni; mentre il finanziamento viene erogato attraverso compartecipazioni al gettito specifico di uno o più tributi o entrate erariali regionali, essendo previste misure perequative e di promozione dello sviluppo economico, della coesione e della solidarietà sociale.

In tema di filiera amministrativa gestionale e della governance statuale e territoriale va richiamato qui il FSC, "Fondo per lo sviluppo e la coesione" (già FAS, "Fondo aree sottosviluppate", fino al 31 maggio 2011, con d. leg.vo 88/2011), che in sinergia con i Fondi strutturali europei pianifica lo strumento finanziario per attuare le politiche di sviluppo e coesione economico-sociale e territoriale e rimozione degli squilibri economico-sociali, in attuazione e raccordo ex art. 119, comma 5, Cost., e l'art. 174 del Trattato sul funzionamento dell'UE.

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In ragione delle necessità operative generate dagli interventi mirati dal PNRR, a fortiori, va posta luce all'evidenza e sussistenza di estesi fenomeni di corruzione nei settori dei lavori pubblici, delle forniture pubbliche e del comparto della sanità. Qui, una spia delle indispensabili esigenze di intervento pubblico correttivo si relaziona alla serie di misure nuove introdotte nel "modello territoriale sanitario", con il DM 77/2022, nell'ambito del Servizio Sanitario Nazionale (M. Cerioni).

Tradizionalmente, l'estensione della corruzione è inquadrata quale problema etico e giuridico, valutando come accessoria l'implicazione finanziaria della stessa, con nuove tendenze e prospettive nella geografia articolata in aree cospicue del Paese. Spesso, i c.d. "paradisi fiscali" costituiscono un ambiente ideale per il riciclaggio di denaro sporco, nonché per le attività della criminalità organizzata e del terrorismo. Con il decorrere del tempo, essi si sono convertiti in una minaccia per la sostenibilità degli Stati, allontanandosi così dal loro intento iniziale consistente nel permettere a pochi privilegiati di alleviare il proprio carico fiscale e incrementando tanto la grave piaga delle disuguaglianze, quanto il declino delle condizioni reali di vita della maggior parte dei cittadini.

La corruzione diffusa è oggetto di attuale, mai sopito dibattito: il Recovery Plan si rivela grande, straordinaria occasione per il Paese nella capacità di poter risalire la china; al contempo, sussiste l'elevato timore che le organizzazioni criminali possano approfittarne. Esse, infatti, potrebbero sempre cogliere in tale opportunità una rivincita contro le Istituzioni e i cittadini onesti, a tutto vantaggio di azioni illegali e pervicaci condotte di stampo mafioso o della organizzazione estremamente più "mobile" ed espansiva nell'investire e affondare radici tipica della 'ndrangheta (M. Magri; N. dalla Chiesa, F. Cabras). Di conseguenza, a vario titolo si chiedono controlli rafforzati da parte dell'ANAC e della Procura Nazionale Antimafia, considerando gli esiti dell'indagine demoscopica che per l'88% degli intervistati del campione (sondaggio "Demos-Libera" di Demetra, condotto nei giorni 13-17 marzo 2023: per tali riscontri v., I. Diamanti, in la Repubblica 3 aprile 2023) il PNRR rechi consistenti pericoli di infiltrazioni e, per 3 italiani su 4, una compromettente tale illegalità possa pure venire sia sottovalutata, sia sottostimata. A riguardo, il Presidente dell'Autorità nazionale Anticorruzione, Giuseppe Busia, ha illustrato i due fini prefissati dall'Autorità stessa, pur sollevando alcuni dubbi in merito alla introdotta revisione del codice degli appalti: evitare comunque il rallentamento delle opere e monitorare l'applicazione delle regole volte a contrastare l'illegalità nelle pratiche e degli attori, per garantire la cittadinanza e le imprese, con efficienti, tempestive misure e tutele per l'integrità e trasparenza nell'azione amministrativa pubblica.

L'usura, invece, non è un reato tipico della criminalità organizzata: essa lo è diventata proprio in connessione con l'attività di riciclaggio. Tale circostanza comporta una modificazione della fisionomia dell'usura. In primo luogo, assume specifico rilievo l'usura imprenditoriale, per la quale la criminalità organizzata dispone delle risorse necessarie, da mobilitare prontamente, al fine di venire incontro ai bisogni economici della vittima-imprenditore. In secondo luogo, muta la situazione-presupposto: chi assolve un'attività professionale o imprenditoriale non versa sempre in disperate situazioni economiche, ma intende finanziare operazioni azzardate.

Si assiste da tempo, anche, ad un costante incremento nel trend della piaga dell'abusivismo edilizio, purtroppo, in particolare segnalato nelle Regioni interessate da capillare presenza criminale. Negli ultimi anni, tale situazione di incisiva rilevanza sociale e politica si è aggravata considerevolmente, tanto da parlare, addirittura, di montante "marea" dell'abusivismo, senza alcuna salvaguardia tanto per la difesa del paesaggio, quanto della protezione ambientale e delle disposizioni legate alla sicurezza.

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Come si è osservato, viviamo in una società complessa, che si evolve rapidamente e che genera fortissime sensazioni d'incertezza tanto negli individui, quanto nelle istituzioni. È una fase di transizione formidabile, pure in riferimento alla "saldatura" che può orientarsi sul territorio nelle articolate forme di governance democratica, come area di elaborazione per la gestione "monitorata" della complessità nella sfera socio-politica, economica e giuridica, sia a livello di singoli, sia di collettivi e organizzazioni pubbliche e private quali contemporanee esperienze di vita, giustizia sociale, impegno amministrativo dello "stare insieme", oggi

Nell'ottica della "sussidiarietà" si punta alla redistribuzione di tutte quelle funzioni e competenze che possono essere adeguatamente esercitate dalle Pubbliche Amministrazioni, dall'associazionismo e volontariato sul territorio per le comunità regionali e locali: quasi una sorta di propizia riqualificazione sul campo delle opportunità di iniziativa e intervento sociale, con la partecipazione fattiva delle principali istanze presenti nelle realtà territoriali del Paese. Infatti, si considera qui l'incidenza di una tal cornice "costituzionale" saggiata proprio sulle specifiche vitalità dei territori, appunto nella direzione tanto dell'amministrazione condivisa, quanto sul campo delle risorse del pluralismo sussidiario, solidaristico e cooperativo (A. Arcuri; H. Caroli Casavola).

Queste strategie mirano pure alla partecipazione delle organizzazioni della società civile vuoi secondo interventi formali di "cittadinanza attiva", vuoi secondo altre prassi di "autodeterminazione civica", per promuovere e favorire il confronto con le istituzioni in direzione di obiettivi comuni. E definendo, così: "che le istituzioni debbono favorire 'l'autonoma iniziativa dei cittadini, singoli e associati, per lo svolgimento di attività di interesse generale', la Costituzione riconosce infatti per la prima volta, sia pure implicitamente, che le amministrazioni non hanno più il 'monopolio' della tutela dell'interesse pubblico. E inoltre legittima formalmente i cittadini ad uscire dal ruolo passivo di utenti dei servizi pubblici per diventare soggetti attivi che si prendono cura, insieme con le amministrazioni, di beni comuni quali il territorio, l'ambiente, l'acqua, la sicurezza, la fiducia nei rapporti sociali, la legalità, i diritti dell'uomo, la salute, l'istruzione, i beni culturali, i servizi pubblici, la regolazione del mercato, le infrastrutture e altri simili, il cui arricchimento arricchisce tutti (ovvero è nell'interesse generale), così come il loro impoverimento equivale ad un impoverimento di tutta la società" (G. Arena).

Nella dimensione sociale la valorizzazione che tocca la sfera del cittadino singolo e associato è, per il dettato della Costituzione, svolgimento e attuazione di un esteso processo, ad ampio rilievo pluralistico, che si completa nell'ambito locale/territoriale, integrandosi "dal basso" nella società civile, per concorrere con più sensibile adesione e partecipazione della cittadinanza alle numerose necessità e aspettative della vita sociale e politica del Paese. Sicché, la Repubblica ha il compito primario di soddisfare le condizioni idonee per tutti quei cittadini impegnati in attività di interesse generale, rendendo agevole e davvero costruttiva ogni forma di iniziativa privata sorta, nell'ausilio di supporto infrastrutturale, partecipativo, finanziario, premiale: settore emblematico ben noto il caso dell'assistenza e cura delle disabilità, del sostegno agli anziani e degli infermi, del servizio civile universale, della salvaguardia ambientale, degli ecosistemi, del paesaggio e nella promozione culturale in genere.

Di conseguenza, l'interdipendenza tra i soggetti che caratterizza la società glocale-globale non è più soltanto economica, bensì culturale, sociale, politica, istituzionale, tecnologica, come logica della singolare "applicazione" di "democrazia territoriale", ma "senza confine"; un modello del tutto nuovo ove l'amministrazione è "condivisa", basata sulla collaborazione e giustizia sociale fra istituzioni e cittadini. Un quadro, appunto, in cui l'azione di utile governance può prendere progressivamente piede per la realizzazione ad ogni segmento di iniziativa della reale partecipazione ed uguaglianza, con maggior incidenza di pluralismo, responsabilità e garanzia, soprattutto efficacia e coerenza.

Spesso, sono i corpi amministrativi (locali) a rapportarsi ai differenti bisogni ed interessi pubblici e privati, presenti nelle necessità puntuali e nello sviluppo armonico del territorio. Anzi, per rappresentare e recepire i fermenti del dinamismo dei territori e di originali responsabilizzazioni delle comunità locali affiorano nella filiera amministrativa e gestionale forme di partecipazione e coinvolgimento, in direzione di nuovi equilibri "solidali" delle autonomie periferiche verso un'applicazione "bilanciata", adatta a compensare carenze e deficit fra istituzioni e società civile, momenti idonei per esprimere progetti e piani collettivi su obiettivi condivisi e utili all'intera comunità.

A fronte della evidente crisi della statualità (sovranità, legittimazione, rappresentanza, cura promovendae salutis dello "Stato sociale") si potrà, forse, ampliare quell'area di convergenza comune e di operativo "dialogo" fra i differenti enti in campo, più adatti nel terreno delle intese, delle intense relazioni e colloqui, varie co-progettualità e programmazioni possibili, allo scopo di gestire i processi di sviluppo e benessere, secondo indirizzi politico-amministrativi distribuiti proprio su livelli di competenza e intervento più prossimi alla cittadinanza.

Mentre, per altri versi, il mutato assetto delle autonomie e la loro contestuale qualificazione o riqualificazione operativo-funzionale non può mai indurre lo stesso sistema e l'ordinamento giuridico a frazionare, segmentare e depotenziare le prestazioni di fondamentali diritti dell'uomo e del cittadino. Anzi, si deve realizzare la crescita della persona e una più idonea rimozione degli ostacoli che questa incontra e che limita la propria libertà inalienabile e la sua posizione di uguaglianza, rispetto a tutti gli altri soggetti. Una diretta espressione di unità e convivenza, che pure reca con sé ogni migliore attuazione dei principi fondamentali contemplati ex artt. 2 e 3 Cost., per evitare possibili forme di loro svuotamento, discriminazione, intolleranza e disagio. Così, si deve tenere in conto de "i livelli essenziali delle prestazioni", i quali, poiché concernenti diritti civili e sociali, come si è già detto in precedenza, devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale, secondo l'invocazione della lett. m), comma 2, ex art. 117 Cost.

Dall'interazione dei tre livelli di sviluppo: società civile, rappresentanza politica e sistema amministrativo "armonico" si misura la prospettiva reale della partecipazione democratica. Tanto, per la valorizzazione della territorialità a pieno titolo (peculiarità e tradizioni dei luoghi); quanto per la capacità di collaborazione ed espressione dei cittadini e di efficacia ed ascolto dell'Amministrazione si impongono necessità strategiche di valido associazionismo in ambito locale, utili a dare risposte concrete alle aspettative della collettività. Tutto ciò, con grande impulso creativo e direttivo, programmazione e strategia dei servizi locali, impegno gestionale efficiente delle risorse e cura degli interessi politico-economico-sociali sul territorio, specie nelle realtà e comunità di dimensione ridotta o nelle aree che presentano condizioni strutturali difficili o in crisi emergenziale, addirittura.

Un processo in atto che rende, appunto, protagoniste le varie "forme cooperative di prossimità" e dal carattere strategico, in specie in tutte le attività che sollecitano notevole dispendio di fondi, con incentivi e forme premiali, come i servizi di assistenza integrata, strutture di "accessibilità" e accoglienza, sportelli del sociale, l'infrastrutturale del comparto occupazionale, sanitario, della sicurezza previdenziale e sociale. Specifiche considerazioni concrete per favorire innovative formule gestionali nella cooperazione locale, appunto, si pongono nelle politiche cruciali dello sviluppo sul territorio: l'ambiente e la salvaguardia territoriale, la salute dei cittadini e la disabilità, la solidarietà e promozione sociale, del turismo sostenibile, delle risorse artistiche, culturali ed educative.

Il riparto territoriale delle competenze ha ripercussione sull'universalità dei diritti e dei doveri, tanto che la vicenda storica è lì a dimostrare come, spesso, il modello di welfare State si è proprio modulato con i sistemi di riequilibrio economico-sociale che tanto lo hanno via via caratterizzato e sostenuto nel tempo, denunciandone pure i paralleli fattori e motivi di crisi.

La rivitalizzazione del volontariato sul territorio, già segnalata a partire dagli anni Ottanta-Novanta in poi, ha contribuito non poco all'innovazione e all'espansione/rivitalizzazione dei sistemi locali di welfare. Gran parte dei benefici sociali degli ultimi anni è avvenuta grazie a tali forme di spontaneo coinvolgimento, specie del "terzo settore" nella gestione di numerosi servizi per la collettività. Una partnership che ha consentito sia di superare rigidità burocratiche riscontrate nell'amministrazione pubblica, sia di ottenere una significativa contrazione dei costi grazie alla mobilitazione di risorse volontarie ed eticamente motivate nello sviluppo solidaristico richiesto.

Alle caratteristiche sin qui richiamate è opportuno aggiungerne un'ultima, a integrazione riguardante l'orizzonte riscontrato nel prospetto delle politiche e attività sociali.

In generale, gli interventi hanno mantenuto nel nostro territorio un orientamento assistenziale ed emergenziale, intervenendo sulle situazioni già gravemente compromesse e spesso sulla base di allarmismi sociali. Un agire, in parte, reso necessario dalla cronica carenza di risorse finanziarie, in parte facilitato da una cultura assistenzialistica che tanto spesso ha improntato anche l'azione, talora troppo formalistica, dei programmi orientati su base comunitaria o territoriale del momento, day to day.

Negli ultimi decenni, poi, il dibattito sul potenziale de-responsabilizzante di politiche fortemente improntate ad una logica assistenziale ha messo in crisi il modello tradizionale di intervento, come è noto ponendo l'esigenza di sviluppare programmi maggiormente coinvolgenti, più aperti sul versante promozionale, finalizzati meno al mantenimento delle situazioni esistenti volte più a migliorare chance individuali e collettive di reinserimento sociale e di ulteriori efficaci modalità di sostegno per l'uscita dalla recessione o dal deficit. Sicché, la sfida più recente da sgominare è quella proveniente non solo dalle nuove forme di emarginazione sociale, ma dall'aumento della vulnerabilità sociale ed esistenziale, in modo peculiare anche per gli effetti pesantissimi provocati nel cuore della società, specialmente nel disagio tra la componente giovanile che qui interessa, a causa pure della profonda emergenza sanitaria pandemica, ancora con una eredità non del tutto sbarazzata e con strascichi da dover via via valutare a fondo...

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Come è stato insegnato, il consenso è il frutto di un lungo itinerario che poggia sulle scelte individuali dei cittadini, sulla loro armonizzazione ideale in partiti e movimenti politico-economico-sociali, in gruppi organizzati e società intermedie; infine, riassunti nella dialettica democratica delle formazioni politiche negli organi rappresentativi dello Stato, per articolare diverse forme di indirizzo politico-programmatico nella risultante linea d'azione politica nazionale. Ciò significa che le istituzioni si alimentano nel consenso dei cittadini, ma non significa che esse debbono sempre esprimere od inseguire propositi politici "populisti" compiacenti alla cattura del consenso se, talora, siano in discussione valori, esigenze, aspettative di strategico interesse supremo per la salvaguardia di necessità ritenute fondamentali per tutti o, addirittura, di tutelare nell'emergenza i prioritari bisogni pubblici compromessi o posti a rischio.

È questo l'essenziale territorio dei valori educativi e morali legati alla responsabilità di una consapevole coscienza costituzionale per i nuovi cittadini.

Si tratta di un serio sforzo che deve poter impegnare e aggregare, con coraggio, entusiasmo ed emozione, energie ed esperienze rilevanti, quanto decisive e determinate per espandere l'orizzonte democratico e la cultura civica della nostra realtà nazionale, senza linee di frattura potenziali di una dicotomia Nord-Sud; Sud-Nord, per far ripartire la politica migliore dal suo compito primario e cioè dal dialogo con le persone e fra le generazioni diverse, appunto secondo il costruttivo, alto senso di comunità.

Per evitare il degrado della civiltà nazionale classi dirigenti e forze dedicate nell'istruzione dei giovani, a tutti i livelli d'impegno politico, culturale e sociale corrispettivi, hanno l'obbligo sacrosanto di agire per trasmettere, non con chiacchiere inutili e vuote, bensì nei comportamenti di ogni giorno, la "forza formatrice alle nuove generazioni", specialmente favorendo il dialogo e l'esempio civico con questi cittadini in erba ed evitare così disaffezione, disinteresse, apatia: "per questo è importante conoscere la Costituzione. Leggerla, studiarla, discuterla, approfondirne i significati e i valori storici… da preziosa alleata per i nostri diritti, per apprezzamento e senso civico di costanti, condivisi impegni, quali traguardi da raggiungere, un lavoro ancora da completare", come nel suo ruolo attivo di viva vox Constitutionis, ammonisce spesso il Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella.

Ecco, allora, che dal monito di un appello ai valori nell'educazione alla cittadinanza, activa civitas, si qualifica la matura espressione dell'educare alla democrazia e alla pratica democratica nel solco dei principi di legalità, ragionevolezza e patriottismo costituzionale, "doveri" imprescindibili da indicare ai più giovani protagonisti di questo formidabile tempo, anche sospeso, quale mappa ideale del vivere comune, a Settantacinque anni di vigenza della nostra Costituzione repubblicana nell'ausilio tangibile e davvero utilissimo sul campo di Lezioni civiche e consegna della Carta costituzionale ai Diciottenni da parte dei Sindaci, Giornate della legalità, Educational Tour, Viaggi di istruzione, conoscenza e della memoria storica.

Interrogandosi, da par suo, in ordine al futuro democratico ed alla difesa delle regole, Bobbio richiama quell'immenso mattatoio che, in Hegel, è la storia. "Possiamo dargli torto? In nessun paese del mondo il metodo democratico può perdurare senza diventare un costume. Ma può diventare un costume senza il riconoscimento della fratellanza che unisce tutti gli uomini in comune destino? Un riconoscimento tanto più necessario oggi che di questo comune destino diventiamo ogni giorno più consapevoli e dovremmo, per quel poco lume di ragione che rischiara il nostro cammino, agire di conseguenza".

Ebbene, anche per il costituzionalismo una saggezza del ragionare giuridico, come nella riscontrata valutazione di Modugno, induce a sforzarsi affinché scelte, valutazioni caratteristiche della libertà umana non si identifichino (anzi, proprio per evitare che si identifichino) necessariamente con irrazionale, incontrollabile, irriducibile arbitrio. La ragione, pur ambiguamente espressa nel corso della storia del pensiero, assume una qualche fisionomia tendenzialmente unitaria, in virtù del consenso e della accettabilità in un contesto storico-sociale che è, sia pur relativa, "ragionevole" garanzia della sua concepibilità. In un tale orizzonte, la legalità, come conformità alla legge, alla legge costituzionale e ai principi fondamentali si atteggia, appunto, come attuazione e custodia di tali valori e pluralità di valori e "termini", in senso più ampio e declinato fra Paese legale e Paese reale.

Per questi motivi, nella traccia individuale e collettiva di ogni cittadino e dei cittadini della Nazione vanno riannodati i fili ideali del collegamento fra le diverse generazioni che si sono formate, o che preparano il loro contributo e destino, "legandosi l'una con l'altra" (Zagrebelsky; Cuccodoro), nel comune intrecciare quotidiano allo spirito della memoria l'avvenire possibile di un'Italia che sa vincere il declino e guarda al futuro con fiducia nel rispetto dei diritti e delle liberta di ciscuno e di tutti, davvero!

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In definitiva, dunque, cos'è allora ingiusto o indegno, da chiedersi? Cos'è illegale o arbitrario, oggi? Ciò che legale è di per sé, anche giusto e saggio? Quesiti ai quali, pertanto, nella evoluzione e nei percorsi della Statualità, sono state date risposte differenti ed anche antitetiche, influenzate da concezioni, volta a volta, positivistiche, formalistiche, kelseniane, giustizialiste ed ideologiche, e che ora si riverberano, in tutta la loro incidenza reale, attraverso il concreto presupposto leggi/diritti/poteri, nel profilo vigente del Costituzionalismo contemporaneo, se capace di reagire di fronte alle crisi, alle illusioni e delusioni, con condotta proattiva, di resilienza e resistenza.

Si tratta di argomenti delicati e controversi per doversi misurare fra mondi ideali e ipotetici; mentre, nel piano "sostanziale" della storia la giustizia rende talora gli esseri umani in carne ed ossa, vittime di ingiustizie terribili, tanto dal non poter dimenticare o addirittura ignorare il decisivo avvertimento e richiamo che deriva dall'Olocausto, dai massacri di sopraffazione e atrocità dittatoriali, delle insensate guerre fra popoli, dei gulag, dei genocidi, del terrorismo vigliacco, della pena di morte, del carcere con isolamento assoluto e duraturo del detenuto, di indegne privazioni imposte alle donne afgane e alla gioventù dell'Iran, fino al "nuovo" emergere dell'idea di giustizia (Rawls; Dworkin; Matteucci, A. Cassese, Bobbio, Irti, Stella) oggi auspicabile nelle forme ed espressioni di invocata Democrazia integrale, pur in questi tempi davvero difficili e inquieti.

Echeggiano così le parole di Piero Calamandrei: "non c'è libertà senza legalità". Egli teneva a evidenziare come lo slogan "la libertà è la vita morale e l'uomo l'ha già in sé", non fosse valido sul piano politico, nel quale devono essere definite, mediante leggi, le condizioni pratiche necessarie e sufficienti che consentano ad ogni consociato di esplicare la propria libertà senza ostacoli ("La libertà come fervore di vita dello spirito, come vitalità morale, non sono le leggi che possono crearla in chi non la vuole; ma per chi l'ha e vorrebbe praticamente esplicarla in opere, sono le leggi che debbono assicurargli la libertà politica di poter esplicare la sua libertà morale"). E in tale speculare terreno è stentorea e monitoria la "voce" del Presidente Sandro Pertini che si esprimeva nella sua Lectio magistralis, presso la Columbia University nel 1982, in ordine a "La libertà e la legge". Un cruciale argomento, per Lui carissimo e coinvolgente, illustrato con vigore ai giovani studenti nella prolusione interamente scritta di suo pugno, da Educatore civico di temprata umanità e saggezza: "ricordiamolo, le leggi giuste sono quelle che liberano, e non opprimono l'uomo… le leggi che consentono all'uomo di restare in piedi, padrone dei suoi sentimenti e dei suoi pensieri e non servitore in ginocchio".

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