La Cassazione chiarisce che non scatta la fattispecie depenalizzata dell'appropriazione di cose smarrite, bensì il furto per il ritrovamento di un bene come la carta di credito, mentre la successiva circolazione fa scattare la ricettazione

Appropriazione di cose smarrite e furto

Scatta il reato di furto e non il depenalizzato reato di appropriazione di cose smarrite, quando si rinviene (e si usa) un bene che attesta l'appartenenza ad un preciso titolare, come ad esempio una carta di credito. E' quanto ha affermato la Cassazione con sentenza n. 15687/2023 (sotto allegata).

Nella vicenda, la Corte d'Appello di Bologna, confermava la pronuncia di primo grado che aveva ritenuto un uomo responsabile dei delitti di ricettazione ed utilizzo illecito di carta di credito.

L'imputato adiva la Cassazione lamentando che avrebbe dovuto essere pronunciata piuttosto sentenza di assoluzione perché il fatto non è più previsto dalla legge come reato: al proposito esponeva che "la riconducibilità della carta di credito ad un soggetto determinato non poteva valere a qualificare la condotta illecita ai sensi dell'art. 648 c.p. quando il titolare non abbia avuto alcun rapporto materiale con la cosa; circostanza verificatasi nel caso in esame in cui la persona offesa in sede di denuncia aveva dichiarato di non avere ricordo del luogo in cui la carta di pagamento era stata lasciata" e che in ogni caso il fatto andava al più qualificato come ipotesi di furto semplice.

Per gli Ermellini, tuttavia, le tesi sono infondate.

Innanzitutto, affermano, "costituisce ius receptum l'affermazione secondo cui nell'ipotesi di smarrimento di cose che, come gli assegni, le carte di credito o le carte postepay, conservino chiari ed intatti i segni esteriori di un legittimo possesso altrui, il venir meno della relazione materiale fra la cosa ed il suo titolare non implica la cessazione del potere di fatto di quest'ultimo sul bene smarrito, con la conseguenza che colui che se ne impossessa senza provvedere alla sua restituzione commette il reato di furto e che l'ulteriore circolazione del bene mediante il trasferimento a terzi comporta l'integrazione del reato di ricettazione da parte dei successivi possessori (Sez. 2, n. 4132 del 18/10/2019)".

Nel caso in esame, proseguono i giudici, "i segni esteriori del bene ne attestavano a tutti l'appartenenza ad un preciso legittimo titolare. Pertanto, posto che il reato presupposto è sempre quello di furto, la successiva circolazione della carta mediante il trasferimento ad altri integra proprio l'ipotesi di ricettazione".

Del resto, "ciò che rileva ai fini della qualificazione giuridica della condotta è la situazione psicologica dell'agente e non anche quella del titolare del bene che per ragioni diverse può momentaneamente non essere in grado di esercitare il potere di fatto sulla cosa. Ove, quindi, per le caratteristiche intrinseche dell'oggetto, sia individuabile il suo titolare, chi si appropri dello stesso commette il delitto di furto e non appropriazione di cosa smarrita, impossessandosi appunto di bene altrui e la successiva circolazione comporta la contestazione ai successivi possessori della fattispecie di ricettazione perché anche loro nella condizione psicologica di conoscere l'altruità della cosa e la sua origine illecita".

La "depenalizzazione della ipotesi di cui all'art. 647 cod.pen. non comporta, pertanto, alcun effetto sotto il profilo della punibilità delle condotte di chi si appropri inizialmente ovvero di chi venga in possesso dopo il primo furto, di beni come le carte di credito, le carte postepay ovvero le tessere bancomat che rechino gli elementi identificativi della loro titolarità, poiché in tutti questi casi, essendo evidente l'appartenenza ad altri del mezzo di pagamento non vi è appropriazione di cose smarrite bensì sottrazione al titolare, in quel dato momento impedito dall'esercitare il controllo sulla cosa ed un potere di fatto sulla stessa, senza però avere mai rinunciato alla sua titolarità" conclude infine la S.C. dichiarando l'impugnazione inammissibile.

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