Il difensore può sempre rinunciare al mandato senza perdere il diritto al proprio compenso per l'attività prestata fino a quel momento perché a questo professionista si applicano regole che derogano l'art. 2237 c.c.

Diritto di recesso dell'avvocato e compenso

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L'avvocato può recedere dal mandato professionale anche in assenza di una giusta causa e anche se l'assistenza in giudizio non è stata portata a compimento. Il professionista conserva inoltre, in tal caso, il diritto al compenso per l'attività svolta, salvo il risarcimento del danno di cui il cliente però deve provare l'esistenza. Questo il punto focale della pronuncia della Cassazione n. 23077/2022 (sotto allegata).

La vicenda processuale

Una Srl in liquidazione e in concordato preventivo si oppone al decreto ingiuntivo emesso in favore di due avvocati per la somma di Euro 196.746,36, oltre interessi legali spese a titolo di compenso professionale per l'assistenza giudiziale prestata dagli stessi in una casa di merito e in due procedimenti cautelari. P

Per la Srl il compenso non è dovuto stante il grave inadempimento degli avvocati. Gli stessi hanno infatti esercitato il diritto di recesso dal mandato professionale relativo alla causa di merito senza addurre una giusta causa, in violazione dell'articolo 2237 c.c.

Il Tribunale rigetta però l'opposizione in quanto, per quanto riguarda il contratto d'opera professionale dell'avvocato, in relazione alle prestazioni giudiziali svolte, nel nostro ordinamento vi è una disciplina che deroga a quella generale di cui all'articolo 2237 c.c. invocata dalla società opponente. Tale disciplina, come confermato anche dall'articolo 85 del codice di procedura civile, consente al difensore di poter sempre rinunciare purché il recesso sia esercitato in modo tale da evitare pregiudizi al cliente, profilo questo di cui non è stato investito il giudice dalla difesa della società opponente.

Spetta il compenso se il legale recede senza giusta causa?

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La società soccombente, insoddisfatta dell'esito del giudizio di opposizione ,ricorre in Cassazione e con il primo motivo in particolare contesta al Tribunale di essere incorso in errore nel momento in cui ha riconosciuto il compenso ai due professionisti, sebbene esercizio del recesso sia avvenuto in assenza di una giusta causa, circostanza questa che priva il prestatore d'opera intellettuale del diritto al corrispettivo.

La tesi di parte ricorrente richiama la previsione di cui al secondo comma dell'articolo 2237 c.c., che nel prevedere la possibilità di recesso del professionista solo in caso di giusta causa, implica che ove quest'ultima manchi, alcun compenso può essere attribuito per l'attività svolta.

Il legale non ha bisogno di una giusta causa per recedere

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La Cassazione adita però respinge questo motivo di ricorso. Giurisprudenza risalente della stessa Corte ha sottolineato infatti la specialità della disciplina prevista per l'avvocato finalizzata a derogare alla norma di carattere generale di cui al l'articolo 2237 c.c."A tal fine rileva in primo luogo l'articolo c.p.c. che dispone, ancorché al fine di limitare i disagi provocati dalla rinuncia alla controparte, che la procura può essere sempre revocata e il difensore può sempre rinunciarvi, ma la revoca e la rinuncia non hanno effetto nei confronti dell'altra parte finché non sia avvenuta la sostituzione dei difensori, ma sottendendo con tale formulazione la soluzione per cui il recesso dell'avvocato dal mandato è sempre ammessa, e non quindi necessariamente ancorata la ricorrenza della giusta causa."

Per quanto riguarda l'opposizione alla richiesta di compenso degli avvocati stante la causa non portata al compimento la Cassazione valorizza l'articolo 7 della legge n. 794/1942 il quale, in relazione proprio al corrispettivo per le cause non giunte a compimento stabilisce che: "per le cause iniziate ma non compiute ovvero nel caso di revoca della procura o di rinuncia la stessa il cliente deve all'avvocato gli onorari corrispondenti all'opera prestata."

In linea con le due norme menzionate anche l'articolo 32 del codice deontologico forense che disciplina proprio la rinuncia al mandato. Alla conclusione del tribunale, precisano gli Ermellini, è giunta comunque anche la giurisprudenza di legittimità, per la quale "L'assenza di giustificati motivi non può costituire in colpa il patrono che dismettere il mandato, stante la norma dell'articolo 85 codice di procedura civile, la quale, in armonia con la particolare natura del rapporto che si instaura tra cliente e patrono, attribuisce ad entrambi il potere 10 vedervi, l'uno mediante la revoca, l'altro mediante la rinuncia."

Come precisato inoltre da una cassazione del 2011 l'assenza della giusta causa deve essere correlata non già all'inammissibilità del recesso o al venir meno del diritto al compenso dell'avvocato, ma solo alla responsabilità risarcitoria potenziale del professionista nei limiti in cui il cliente dimostri di aver subito un danno.

Le norme dedicate quindi ai legali vanno a derogare quanto sancito dall'articolo 2237 c.c. Ne consegue che l'avvocato può recedere dal mandato professionale anche in assenza di una giusta causa salvo il risarcimento del danno di cui cliente provi l'esistenza e il difensore conserva comunque il diritto agli onorari per l'attività svolta fino al recesso stesso.

Scarica pdf Cassazione n. 23077/2022

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