Quali sono i limiti alla proprietà privata. Vediamo quelli nell'interesse pubblico, quelli nell'interesse privato e quelli di natura ibrida

Il diritto di proprietà in generale

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L'articolo 42 della Costituzione insieme all'articolo 832 del codice civile

, che poi a ben vedere nemmeno da una definizione nitida del diritto di proprietà, ma ne indica semplicemente il contenuto, sono il risultato di sviluppi e dibattiti millenari. Durante i lavori preparatori per la predisposizione del codice civile si era pensato di inserire nello stesso il termine "funzione sociale", ma poi lo si è fatto confluire nella Costituzione insieme alla locuzione rendere "accessibile a tutti la proprietà". I nostri costituenti, nell'optare per un sistema ad economia mista, stabilirono che la proprietà
può essere sia pubblica che privata. La legge inoltre, disciplina i modi di acquisto, di godimento e i limiti della proprietà, al fine di renderla accessibile a tutti. Essa, infatti, non deve essere intesa come un bene di pochi, ma al contrario può essere anche un bene collettivo accessibile per lo più a tutti. È altresì possibile l'espropriazione nei confronti di un privato per interessi generali, previo indennizzo. In buona sostanza è questa la funzione sociale della proprietà, conclamata nella Carta Costituzionale.

L'articolo 832 del codice civile[1], invece, dispone che "Il proprietario ha diritto di godere e di disporre delle cose in modo pieno ed esclusivo, entro i limiti e con l'osservanza degli obblighi stabiliti dall'ordinamento giuridico".

Dalla lettura dell'articolo in esame, emerge che il proprietario ha il diritto di godere e di disporre in modo pieno ed esclusivo di un bene, ma allo stesso tempo non è titolare di un diritto assoluto, inteso come illimitato, infatti, egli incontra limiti di ordine pubblico e privato[2].

La facoltà di godimento consiste nell'utilizzare il bene secondo la propria utilità; la facoltà di disposizione comporta il potere di destinare il bene all'uso desiderato, si pensi alla vendita.

I caratteri del diritto di proprietà

Dire però che il diritto di proprietà non è un diritto assoluto, non corrisponde pienamente al vero; quanto segue, varrà a chiarire quest'affermazione.

Il diritto di proprietà è un diritto:

1) Assoluto: perché può essere fatto valere verso tutti a differenza dei diritti relativi che si possono far valere solo verso determinati soggetti come nel caso del diritto di credito;

2) Immediato: perché non richiede la collaborazione di nessuno a differenza dei diritti che derivano da un'obbligazione che richiedono la collaborazione della legge e del debitore e si dicono mediati;

3) Tipico: perché i diritti reali sono solo quelli espressamente previsti e disciplinati dalla legge e non è possibile crearne altri;

4) Patrimoniale: vale a dire che ha un contenuto valutabile economicamente;

5) Pieno: ossia al proprietario è consentita ogni lecita utilizzazione del bene;

6) Elastico: il diritto di proprietà può essere limitato da un altro diritto, ma non appena viene meno il vincolo che lo comprime riprende la sua ampiezza, si pensi all'usufrutto che comporta il cosiddetto fenomeno della nuda proprietà (vale a dire che in capo al proprietario del bene in questione resta il potere di disposizione, ma non anche quello di godimento che spetta all'usufruttuario);

7) Autonomo: vale a dire che non ha bisogno di altri diritti per esistere;

8) Esclusivo: in quanto è possibile escludere chiunque dal godimento del bene;

9) Perpetuo: non esistono limiti temporali al diritto di proprietà. Tuttavia quest'affermazione può essere posta in dubbio, se si guarda all'articolo 953 del codice civile rispetto alla proprietà superficiaria. Quest'ultima può essere costituita a tempo determinato o indeterminato;

10) Imprescrittibile: la proprietà non si perde per non uso, ma solo per usucapione che è a sua volta un modo di acquisto della proprietà a titolo originario.

Limiti alla proprietà nell'interesse pubblico

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Accanto a questa breve premessa, che permette (probabilmente) di comprendere quanto sia ampio il diritto di proprietà, non vanno sottaciuti i limiti che esso incontra di natura pubblicistica e privatistica.

Vari sono i vincoli pubblici, alcuni ancora attuali, altri meno.

Gli ammassi obbligatori hanno costituito dei veri e propri limiti al potere di godere e di disporre. Si trattava di conferimenti obbligatori di beni per motivi fiscali o di approvvigionamento per il tramite dei famosi consorzi. Un esempio può essere dato dal conferimento del grano nel periodo fascista; con il tempo non sono poi mancati i conferimenti volontari, sviluppatesi soprattutto nel periodo post bellico.

Il codice aveva previsto con una norma, oggi abrogata ma reintrodotta sotto un'altra veste il divieto di spezzettamento dei terreni[3]. Oggi, infatti, a tal proposito, il compendio unico prevede un vincolo di indivisibilità decennale che va trascritto, anche se i terreni non sono contigui. Interessante in quest'ottica è anche l'istituto del maso chiuso di origine tirolese che prevede l'indivisibilità del terreno e della casa e la trasmissibilità degli stessi in capo ad un solo figlio, ossia il primogenito. La materia disciplinata da un'apposita legge della Provincia di Bolzano 28 novembre 2001, n. 17 è stata più volte modificata. Fermo restando l'abrogazione di tali disposizioni, l'istituto opera a mo' di consuetudine.

Altri limiti possono riguardare la fissazione dei prezzi di alcuni beni. Si parla di prezzi pubblici, che a differenza di quelli privati non seguono il mercato, infatti, lo Stato e gli Enti pubblici tengono conto degli interessi della collettività.

Tra i limiti di diritto pubblico, possiamo ricordare anche le servitù militari, oggi in parte attenuatesi; in buona sostanza ai titolari dei fondi limitrofi di zone che interessano la difesa dello Stato, non è consentito elevare costruzioni oltre una determinata altezza ad esempio. È sempre previsto un indennizzo. Sardegna e Friuli Venezia Giulia sono le regioni più interessate dalle limitazioni. La materia è disciplinata dal d. lgs. n. 66 del 15 marzo 2010.

Nel campo della proprietà fondiaria, possiamo ricordare l'articolo 857 del codice civile in tema di bonifica e l'articolo 866 concernete vincoli per scopi idrogeologici e non solo.

Particolari limitazioni sono contenute anche nella normativa che regolamenta l'attività edilizia. L'intera materia è stata raccolta e riorganizzata nel Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia di cui al d.p.r. n. 380/2001, da ultimo modificato dal decreto sviluppo di cui al d.l. 13 maggio 2011, n. 70, convertito in l. n. 160 del 12 luglio 2011. Sulla base delle disposizioni contenute nel testo unico lo ius edificandi può essere esercitato solo ed esclusivamente in presenza di titoli abilitativi, quali il permesso di costruire che ha sostituito la concessione e la denuncia di inizio attività (DIA). In seguito alle modifiche apportate alla legge n. 241/1990 è stata introdotta anche la segnalazione certificata di inizio attività (SCIA) in sostituzione - aggiunta alla denuncia di inizio attività; in entrambi i casi seguono controlli a posteriori ad opera della pubblica amministrazione.

Normalmente il territorio viene diviso in aree, ognuna delle quali è destinata ad un proprio utilizzo, in base ai piani regolatori generali e quindi abbiamo anche un limite alla edificabilità dei suoli.

La requisizione di origine militare si distingue dall'espropriazione perché ha un campo di applicazione più vasto. È l'atto con cui l'Autorità amministrativa toglie a titolo temporaneo o definitivo, la proprietà di beni mobili o immobili per fronteggiare necessità pubbliche gravi ed urgenti.

L'espropriazione prevista nel terzo comma dell'articolo 42 della Costituzione e nell'articolo 834 del codice civile, è l'atto attraverso cui l'Autorità amministrativa toglie tramite il potere d'imperio e previo indennizzo la proprietà per trasferirla ad un altro soggetto, normalmente un ente pubblico, per interessi riguardanti la collettività.

Limiti alla proprietà nell'interesse privato

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I limiti nell'interesse privato, valgono sostanzialmente a regolare i rapporti di vicinato nonché gli altrui diritti. Suddetti limiti hanno il carattere della reciprocità in quanto limitano un proprietario nei confronti di un altro; della essenzialità in quanto sono connaturati al diritto di proprietà essendo alla base della sua definizione; della intrinsecità in quanto nascono con esso, non in un secondo momento e della perpetuità vale a dire che non si estinguono per nessuna ragione, infatti, non si prescrivono. Per il legislatore in primis e per il giudice in secundis, non è facile determinare limiti precisi entro i quali può svolgersi il diritto di un soggetto senza ledere il diritto di un altro.

Pertanto, è fatto divieto di:

  • Immissioni di fumo, calore, esalazioni, rumori, scuotimenti e simili che superano il limite della normale tollerabilità in base alle disposizioni contenute nell'articolo 844 del codice civile. Il limite della normale tollerabilità all'unanimità tra dottrina e giurisprudenza è da ritenersi relativo e non assoluto. Il giudice nello specifico dovrà valutare di volta in volta la condizione dei luoghi[4] e le esigenze della produzione. In particolare il giudice potrà anche propendere per le immissioni a tutela delle esigenze della produzione, stabilendo a favore della parte lesa un equo indennizzo. Fondamentali sono i collegamenti di questa materia con le disposizioni antinquinamento e con l'articolo 2043 del codice civile, ben potendo il soggetto leso chiedere il risarcimento per i danni patiti alla salute.
  • Non rispettare le distanze legali nell'innalzare una recinsione, nel piantare un albero, nel costruire un edificio, nell'aprire luci (consentono solo il passaggio della luce) o vedute (consentono di affacciarsi). La normativa che va dall'articolo 873 all'articolo 907 del codice civile, può essere derogata da quella locale che può prevedere distanze maggiori, ma assolutamente non inferiori. Tra un edificio e un altro edificio ovvero tra muro e muro l'articolo 873 del codice civile, salvo diversa previsione dei regolamenti comunali, stabilisce che si deve rispettare una distanza di almeno tre metri. La norma in questione, secondo l'articolo 878 non si applica ai muri di cinta[5]. L'innalzamento di un muro da una sola parte, darà all'altra parte la possibilità di scelta tra l'appoggiarsi al muro, pagando la metà del valore del muro con conseguente acquisto della comunione ovvero di costruire in aderenza facendo combaciare le due opere senza comunione. Rispetto a pozzi, cisterne e varie, bisogna rispettare la distanza di due metri dal confine. Fossi e canali richiedono una distanza tra il ciglio del fosse e il confine pari alla profondità massima dell'escavo. In materia di alberi e piante vi è il limite di tre metri per gli alberi di alto fusto (cipressi, pini, pioppi), un metro e mezzo per quelli il cui fusto prima di dividersi in rami non superi l'altezza di tre metri, mezzo metro per le vigne, arbusti, siepi e piccole piante fruttifere. Se nascono alberi selvaggi o vengono piantati a distanze inferiori, il vicino può chiedere l'abbattimento. Se si acquista il diritto di tenere un albero a distanze inferiori non si è autorizzati a ripiantarlo, salvo che si tratti di un filare. Può succedere che nonostante il rispetto delle distanze legali, un albero cresca con le radici e i rami fino a giungere nel fondo del vicino. Il proprietario del fondo contiguo può tollerare o meno questa situazione e può far propri i frutti caduti nel suo fondo. Da ultimo non esistono particolari disposizioni in materia di distanze per la costruzione di fabbriche e depositi nocivi e pericolosi, essendo questo un limite determinabile di volta in volta in base al caso concreto. La l. n. 313/2004 ha introdotto l'articolo 896 bis che si occupa della sistemazione degli apiari. Il limite è di 10 metri dalle strade di pubblico transito e di cinque metri dai confini siano essi di proprietà pubblica o privata. Per aprire le luci non occorre rispettare particolari distanze dal fondo del vicino. La finestra per essere aperta come luce deve rispettare dei requisiti: inferriata per la sicurezza, grata dalle maglie di non più tre centimetri quadrati per evitare il passaggio di oggetti e da ultimo l'apertura va fatta ad una certa altezza. Per le vedute è richiesta la distanza di un metro e mezzo dal fondo del vicino per la visuale diretta. Nel caso di veduta laterale è chiesta una distanza di settantacinque centimetri che si misurano dal lato più vicino della finestra o dal vicino sporto. Finestre a veduta non si possono aprire se non alle distanze specificate.
  • Accesso nel fondo altrui tranne che per l'esercizio della caccia, recupero della cosa o dell'animale proprio, costruzione o riparazione di un muro proprio o in confine ovviamente entro certi limiti in base alle disposizioni contenute negli articoli 842, 843, 896, 924, 925 del codice civile. In particolare il proprietario di un fondo non può impedire l'ingresso nel suo fondo per l'esercizio sulla caccia tranne se il fondo è chiuso nei modi stabiliti dalla legge sulla caccia e nel caso in cui vi siano colture suscettibili di danno. Anche nel caso di attività venatoria illecita non è consentito l'accesso. Questo diritto non autorizza i cacciatori a comportarsi da proprietari nel terreno altrui. La l. 157/1992 con l'art. 20 pone il divieto di accesso in alcuni luoghi quali giardini privati e riserve naturali ad esempio. Il diritto di impedire l'accesso nel fondo è esercitabile non solo dal proprietario ma anche da chi ne ha l'uso e quindi il godimento del bene in quel particolare momento. L'esercizio della pesca nel fondo altrui è subordinata al consenso. È possibile entrare nel fondo altrui per riparare o costruire un muro sulla base di un rapporto di buon vicinato ma non si tratta assolutamente di una servitù legale. La riparazione e la costruzione che giustificano l'accesso devono essere reali, concreti e attuali. Per analogia la giurisprudenza ammette l'accesso nel fondo altrui anche per demolire il muro, nel silenzio del codice. Se vengono cagionati danni si può chiedere un'indennità ma il solo ingresso ovviamente non legittima alcun risarcimento. I proprietari possono stipulare eventualmente delle convenzioni rispetto all'accesso.
  • Stillicidio ossia creare lo scolo delle acque piovane nel fondo altrui, così l'articolo 908 del codice civile. Il codice prevede che se vi sono colatoi pubblici, bisogna innestarvisi e pertanto non è assolutamente possibile far defluire le acque piovane nel fondo del vicino.
  • Atti emulativi ossia compiere atti che non abbiano altro scopo se non quello di arrecare danni e molestie al vicino, senza alcuna utilità. Affinché si abbia emulazione ai sensi dell'articolo 833 del codice civile, sono richiesti due elementi: l'effettiva molestia e l'animus nocendi ossia l'intenzione di nuocere altri. Nella realtà è difficile dimostrare un atto emulativo.

Limiti alla proprietà di natura ibrida

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I diritti che si possono vantare sull'acqua che si trova in un fondo di proprietà ovvero di sotto allo stesso, incontrano limiti di ordine pubblico e privato, ma secondo alcuni questi ultimi sarebbero stati implicitamente abrogati nel codice. Parlare di acqua in termini di diritto di proprietà è un concetto strano, infatti, suoi eventuali utilizzi privati sono strettamente limitati al minimo necessario essendo l'acqua un bene demaniale. Ad esempio è consentito portare acqua in superficie ma non è possibile chiudere le vene sotterranee ovvero il totale emungimento.

Anche rispetto all'acqua in superficie non è possibile abusarne.

Le stesse problematiche valgono per le miniere che restano di proprietà dello Stato poiché offrono materiali rari e preziosi, invece le cave e le torbiere dalle quali si ricavano ad esempio sabbia e argilla possono essere oggetto di proprietà privata, ma in quest'ultimo caso lo sfruttamento è un obbligo se si vuole evitare l'espropriazione.

Leggi anche le guide:

- I limiti alla proprietà nel codice civile

- La proprietà privata


[1] Articolo 832 codice civile.

[2] In tal senso anche la Carta Costituzionale con gli articoli 42, 43 e 44 nonostante la sua funzione sociale.

[3] L'istituto della minima unità culturale era disciplinato nell'articolo 846 del codice civile, abrogato dall'art. 5 bis d.lgs. 18 maggio 2001, n. 228, introdotto dall'art. 7 d. lgs. 29 marzo 2004, n.99.

[4] Una zona industriale agli occhi del giudice sarà trattata diversamente rispetto a un centro abitato.

[5] È tale il muro che ha un'altezza non superiore a tre metri, ha entrambe le facciate libere e demarca la linea di confine della proprietà ovvero la separazione o la chiusura della stessa. Il legislatore sul muro di cinta non detta altre particolari disposizioni.


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