Per le Sezioni Unite della Cassazione, la sentenza ecclesiastica di nullità del matrimonio non blocca il ricorso sulla parte della sentenza di divorzio che si occupa dell'assegno divorzile

Assegno di divorzio e nullità matrimonio canonico

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Con la sentenza n. 9004/2021 (sotto allegata) le Sezioni Unite della Cassazione sanciscono che la nullità del matrimonio decisa con sentenza dell'Autorità ecclesiastica, riconosciuta e resa esecutiva dalla Corte d'Appello dopo il passaggio in giudicato della sentenza di divorzio, non ferma il ricorso intrapreso dal marito con cui ha impugnato solo la parte della sentenza relativa al riconoscimento dell'assegno di divorzio. I due procedimenti infatti sono autonomi e tra i due non sussiste un rapporto di pregiudizialità tale da dover imporre la sospensione. Per comprendere tale principio vediamo cosa è successo.

Il Tribunale pronuncia la cessazione degli effetti civili del matrimonio concordatario

ponendo a carico del marito l'assegno divorzile di 450 euro mensili da rivalutare in base agli indici Istat. L'uomo ricorre in appello per contestare solo il riconoscimento dell'assegno divorzile, ma l'impugnazione viene rigettata perché è stata dimostrata in giudizio l'indisponibilità di mezzi della ex moglie e l'impossibilità per la stessa di procurarseli e migliorare la propria condizione in ragione dell'età e della crisi economica. Il marito infatti è medico mentre la moglie è rimasta disoccupata.

La questione giuridica posta all'attenzione delle Sezioni Unite

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L'uomo però ricorre in Cassazione e dopo la trattazione in Camera di Consiglio deposita copia della sentenza con cui la Corte di Appello ha reso esecutiva la sentenza del Tribunale Ecclesiastico che ha dichiarato la nullità del matrimonio. Ragion per cui chiede che venga dichiarata la cessazione della materia del contendere.

La Cassazione rimette gli atti al Presidente, che dispone l'assegnazione del ricorso alle SU per risolvere la seguente questione, ovvero: "se il giudicato interno (per effetto di sentenza parziale o capo autonomo non impugnato della sentenza) che dichiari la cessazione degli effetti civili del matrimonio concordatario sia idoneo a paralizzare gli effetti della nullità del matrimonio, dichiarata con sentenza ecclesiastica successivamente delibata dalla corte d'appello (con sentenza passata in giudicato), solo in presenza di statuizioni economiche assistite dal giudicato o anche in assenza di dette statuizioni, con l'effetto (nel secondo caso) di non precludere al giudice civile il potere di regolare, secondo la disciplina della legge n. 898 del 1970 e succ. mod. i rapporti patrimoniali tra gli ex coniugi il cui vincolo sia consacrato in un atto matrimoniale nullo."

La nullità ecclesiastica del matrimonio non blocca la lite sull'assegno

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La Corte di Cassazione risolve la suddetta questione enunciando il seguente principio di diritto "In tema di divorzio, il riconoscimento dell'efficacia della sentenza ecclesiastica di nullità del matrimonio religioso, intervenuto dopo il passaggio in giudicato della pronuncia di cessazione degli effetti civili ma prima che sia divenuta definitiva la decisione in ordine alle relative conseguenze economiche, non comporta la cessazione della materia del contendere nel giudizio civile avente a oggetto lo scioglimento del vincolo coniugale, il quale può dunque proseguire ai fini dell'accertamento della spettanza e della liquidazione dell'assegno divorzile."

La ragione è da rinvenire nel fatto che non esiste un rapporto di primazia della pronuncia di nullità, secondo il diritto canonico, del matrimonio concordatario sulla pronuncia di cessazione degli effetti civili dello stesso matrimonio, trattandosi di procedimenti autonomi, aventi finalità e presupposti diversi.

Nel caso di specie quindi è escluso che la sentenza che ha reso esecutiva nel nostro ordinamento la sentenza ecclesiastica che ha dichiarato la nullità del matrimonio della coppia possa impedire la prosecuzione del giudizio di divorzio solo in merito alla corresponsione dell'assegno divorzile.

Il passaggio in giudicato della pronuncia di cessazione degli effetti civili del matrimonio, verificatosi dopo la proposizione dell'appello e quindi prima della delibazione della sentenza ecclesiastica permette di escludere l'operatività di quest'ultima ai fini dello scioglimento del vincolo matrimoniale e delle relative conseguenze economiche.

La durata del matrimonio non è l'unico criterio che rileva per l'assegno

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Per dette ragioni la Cassazione è stata costretta a esaminare il ricorso inoltrato, anche se dopo l'analisi dei tre motivi sollevati, lo rigetta, pronunciandosi in maniera piuttosto approfondita sul motivo con cui il marito ha contestato il riconoscimento dell'assegno divorzile alla ex. Al riguardo gli Ermellini evidenziano che la sentenza, nel riconoscere la misura ha tenuto conto di tutti i criteri indicati dalla SU n. 18287/2018 ossia l'età del coniuge, la durata del matrimonio e le capacità di reddito di ciascun coniuge. Non è vero che, come sostenuto dal ricorrente, non è stato dato il giusto peso alla durata effettiva del rapporto di coniugio. Il fatto è che il giudice ha dovuto altresì tenere conto anche degli altri aspetti, come la situazione occupazionale e reddituale di ciascuno, il considerevole miglioramento lavorativo del ricorrente come conseguente sviluppo delle sue potenzialità ricollegabili agli studi compiuti e infine il contributo economico per il figlio che la sentenza di separazione ha posto a carico della donna. Senza dimenticare, come precisa infine la Cassazione, che in sede di legittimità non si può riesaminare nel merito la controversia, ma solo la correttezza delle argomentazioni della decisione impugnata e la loro coerenza logica giuridica.


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Scarica pdf sentenza Cass. SS.UU. n. 9004/2021

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