La recentissima pronuncia del Tribunale di Macerata, Sez. GIP/GUP, 3-2-2021, Est. Domenico Potetti, delinea qual è l'interazione procedimentale tra i due reati
Nel caso di abitualità nel reato, come quello di maltrattamenti in famiglia, nell'ipotesi in cui il PM, una volta esercitata l'azione penale in un procedimento relativo a tale reato, reiteri poi l'azione penale in altro procedimento per atti vessatori riconducibili alla medesima abitualità, il giudice di questo secondo procedimento dovrà dichiarare l'improcedibilità dell'azione penale per intervenuta preclusione processuale a mente del magistero di Sezioni Unite Penali n. 34655 del 28 giugno 2005, depositata il 28 settembre 2005, Pres. Marvulli, Est. Silvestri.

Il PM dovrà modificare l'imputazione (art. 516 c.p.p.) nel primo procedimento contestando gli atti vessatori oggetto del procedimento dichiarato improcedibile.

Un sentito ringraziamento alla sempre illuminante opera del Dott. Domenico Potetti, artefice dell'inedito provvedimento (che contribuisce alla visione del diritto sotto il profilo dinamico che si prefigge questa rubrica) che proponiamo su LIA Law In Action.

I titoletti dei tre paragrafi sono nostri, la parte restante rispecchia interamente il responso dell'autorevole Magistrato della Sezione GIP-GUP presso il Tribunale di Macerata.

Buona lettura!


TRIB. MACERATA, Sezione GIP/GUP, 3 febbraio 2021, Giudice Domenico Potetti, imp. X

In tema di reato abituale (come il reato di maltrattamenti in famiglia), nel caso in cui il pubblico ministero, dopo avere esercitato l'azione penale in un procedimento promosso per tale reato, reiteri l'azione penale in un altro procedimento, ma per atti vessatori riconducibili alla stessa abitualità (reato abituale), il giudice di quest'ultimo procedimento dovrà dichiarare l'improcedibilità dell'azione penale, essendo intervenuta una preclusione processuale (Sezioni unite penali n. 34655 del 2005), mentre il pubblico ministero dovrà modificare l'imputazione nel primo procedimento (art. 516 c.p.p.), dove dovrà contestare gli atti vessatori oggetto del procedimento dichiarato improcedibile.

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Omissis.

- Il reato di maltrattamenti a carico del coniuge ex art. 572 c.p.
- Abitualità nel reato e coesistenza di altro procedimento ex 612 bis co. 1 e co. 2, 61 n. 11 quinquies c.p.
- L'insegnamento delle Sezioni Unite Penali n. 34655/2005

Il reato di maltrattamenti a carico del coniuge ex art. 572 c.p.

Presupposto della presente decisione è il principio secondo il quale il reato di maltrattamenti a carico del coniuge è configurabile anche in caso di separazione e di conseguente cessazione della convivenza, purché la condotta valga ad integrare gli elementi tipici della fattispecie (v. Cass., Sez. 6, n. 26571-08, RV 241253; Sez. 6, n. 49109-03, RV 227719; Cass., Sez. VI, 21 gennaio 2009, n. 16658), restando integri anche in tal caso i doveri di rispetto reciproco, di assistenza morale e materiale e di solidarietà che nascono dal rapporto coniugale o dal rapporto di filiazione (v. Cass., Sez. 6, n. 3570-99, RV 213515).

Ad abundantiam, la stessa filiazione, di per se sola, comporta la prosecuzione del consorzio familiare, essendosi ritenuto che (v. Cass., Sez. VI, n. 37628-19), è configurabile il reato di maltrattamenti in famiglia e non quello di atti persecutori in ipotesi di condotte vessatorie, poste in essere da uno dei componenti di una coppia "di fatto" nei confronti dell'altro, in situazione di condivisa genitorialità, anche in assenza di convivenza, a condizione che la filiazione non sia stata un evento meramente occasionale, ma si sia quantomeno instaurata una relazione sentimentale, ancorché non più attuale, tale da ingenerare l'aspettativa di un vincolo di solidarietà personale, autonomo rispetto ai doveri connessi alla filiazione (nel nostro caso, a maggior ragione, vi è stato matrimonio).

Abitualità nel reato e coesistenza di altro procedimento ex 612 bis co. 1 e 2, 61 n. 11 quinquies c.p.

Una volta chiarito che nel caso che ci occupa la qualificazione giuridica del fatto è quella di maltrattamenti (art. 572 c.p.), pare evidente che (trattandosi di reato abituale) le condotte giudicate nel presente procedimento e quelle oggetto del procedimento n. 3394-18 RGNR sono parti di un'unica "abitualità" (dell'unico reato abituale).

Infatti, già sulla base delle imputazioni formulate nei due procedimenti risulta la contiguità temporale fra le relative condotte.

Invero, in questo processo l'imputato risponde del reato di cui all'art. 612 bis co. 1 e co. 2, 61 n. 11 quinquies c.p., perché, con condotte reiterate, minacciava e/o molestava la ex moglie non convivente … in maniera tale da cagionarle un perdurante e grave stato di ansia e/o di paura e comunque tale da ingenerare in lei un fondato timore per la propria incolumità e quella dei … figli minori ed infine tale da costringerla ad alterare le abitudini di vita quotidiane, ed in particolare ad evitare di uscire di casa e a fare attenzione a ciò che le accade intorno nelle occasioni in cui lascia l'abitazione (a parte le ulteriori specificazioni riportate nell'imputazione).

Questi fatti sono contestati come commessi in …, dal mese di luglio 2018 con condotta tuttora in atto (la richiesta di rinvio a giudizio è stata depositata in segreteria l'8 ottobre 2020).

Nell'altro procedimento n. 3394-18 RGNR, lo stesso imputato risponde (ormai in fase dibattimentale) del delitto p. e p. dall'art. 572, 61 n. 11 quinquies c.p. perché maltrattava la moglie convivente … serbando nei confronti della stessa condotte violente sia sul piano verbale (ingiurie e minacce anche poste in essere con coltelli), che sul piano fisico, percuotendola con schiaffi, tirate di capelli in occasione dei vari litigi spesso scatenati dal suo stato di alterazione per abuso di alcol, e spesso perpetrati in presenza di loro … figli minori.

E cosi costringeva la compagna a vivere in uso stato di prostrazione psicologica e timore per la propria incolumità tanto da costringerla ad abbandonare l'abitazione comune e trovare riparo con i figli in una struttura protetta.

Questa condotta è contestata come avvenuta in … permanente al sedici luglio duemiladiciotto (richiesta di rinvio a giudizio depositata in segreteria il ventisei febbraio duemiladiciannove, quindi prima della richiesta di rinvio a giudizio - azione penale - esercitata nel presente procedimento; imputazione "aperta").

Non ricorre quindi il possibile caso per cui l'interruzione fra condotte, ove risulti notevolmente dilatata nel tempo, faccia ravvisare due autonomi reati di maltrattamenti in famiglia, eventualmente uniti dal vincolo della continuazione nella sussistenza del medesimo disegno criminoso (in tal senso v. Cass., Sez. 6, n. 2359-69-70, RV 113944 e Sez. 6, n. 4636-95, RV 201148).

L'insegnamento delle Sezioni Unite Penali n. 34655/2005

Stante l'identità del fatto - reato nei due procedimenti, trova quindi applicazione l'insegnamento di cui alle Sezioni unite n. 34655-05, in Guida al diritto, secondo le quali: a) si applica la normativa sui conflitti di competenza (art. 28 e s. c.p.p.) alla duplicazione del processo innanzi a sedi giudiziarie diverse, ricorrendo in tal caso un conflitto positivo proprio. Per contro non è corretta l'applicazione della normativa sui conflitti quando la duplicazione del processo avviene all'interno della stessa sede giudiziaria (come nel nostro caso), in cui non rilevano la competenza per territorio e per materia (punto 3.2 del "considerato in diritto"); quando invece si tratta della stessa sede giudiziaria non si applica nemmeno il rimedio per i conflitti di competenza impropri, caratterizzati semplicemente dall'esigenza di evitare la paralisi del processo (mentre nel caso di duplicazione del processo, ciascun processo può normalmente progredire); b) la questione per il resto va risolta (come nel nostro caso) mediante il principio generale dell'ordinamento (quindi utilizzabile come criterio integrativo ex art. 12, co. 2, Preleggi) consistente nel divieto di reiterazione dei procedimenti e delle decisioni sull'identica regiudicanda, in sintonia con le esigenze di razionalità e funzionalità connaturate al sistema (n. 4 del "considerato in diritto"); c) il predetto divieto di reiterazione trova la sua genesi in una preclusione processuale, che consiste in un impedimento all'esercizio di un potere del giudice o delle parti a causa dell'inosservanza delle modalità prescritte dalla legge processuale, o del precedente compimento di un atto incompatibile, ovvero del pregresso esercizio (consumazione) dello stesso potere (quest'ultimo è il tipo di preclusione che, secondo le Sezioni unite, si realizza nel nostro caso; v. punto 5.1 del "considerato in diritto").

Questa preclusione comporta la dichiarazione di impromovibilità dell'azione penale (ex artt. 529 o 425 c.p.p. o per decreto di archiviazione), conformemente al principio per cui le condizioni di procedibilità non si esauriscono in quelle espressamente date nel titolo terzo del libro quinto del c.p.p. (v. infatti C. cost. n. 318-01).

Lo strumento per inserire nel primo processo eventuali comportamenti dell'imputato aggiuntivi rispetto a quelli contestati in quel processo, stante l'unitarietà della condotta in senso tecnico, è evidentemente dato dall'art. 516 c.p.p., per il quale , se nel corso dell'istruzione dibattimentale il fatto risulta diverso da come è descritto nel decreto che dispone il giudizio, e non appartiene alla competenza di un giudice superiore, il pubblico ministero modifica l'imputazione e procede alla relativa contestazione.

Omissis

Dott. Domenico Potetti

GIP-GUP del

Tribunale di Macerata

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