La rivoluzione della pubblicità online è legata al progressivo blocco dei cookie di terze parti che condurrà gli operatori del settore advertising a trovare soluzioni alternative

Cookie di terze parti: addio anche su Google Chrome

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I cookie di terze parti sono destinati a perdere sempre più di importanza come dimostra la recente decisione di Google di eliminarli progressivamente dal proprio browser "Chrome" entro il 2022. Anche il colosso di Mountain View, dunque, si accoda alle analoghe previsioni adottate, tra gli altri, anche da Apple (per Safari) e da Mozilla (per Firefox).


Sempre più browser, negli ultimi anni, hanno infatti deciso di non supportare più i cookie di terze parti, in un'ottica più garantista nei confronti della privacy degli utenti, proprio in risposta alle richieste dei consumatori di maggiore trasparenza e chiarezza sull'utilizzo dei propri dati sul web.


Questa tendenza, che vede un graduale "spegnimento" dei cookie di terze parti, è destinata ad avere un impatto notevole non solo per quanto riguarda le pubblicità e la profilazione dei dati degli utenti, ma in particolare su un settore, quello del "Programmatic advertising", cresciuto notevolmente negli ultimi anni.


Alcuni dati emersi il 9 marzo in occasione del convegno «Internet Advertising: no cookie, no party?» promosso dall'Osservatorio internet media della school of management del Politecnico di Milano hanno mostrato che tale mercato, solo nel nostro paese, ha chiuso nel 2020 a 588 milioni di euro, con una crescita del 6% rispetto al 2019. Da tali premesse muove uno studio dello stesso Politecnico che si è interrogato sulle conseguenze che avrà l'abbandono dei cookie di terze parti. Andiamo con ordine.

Cosa sono i cookie?

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Negli ultimi anni si è arrivati a familiarizzare sempre più con questa parolina inglese, "cookie", che oltre a far pensare ai biscotti (essendo questa la sua traduzione), è stata utilizzata in ambito informatico per identificare quei file di informazioni (brevi file di testo) che i siti web memorizzano sul dispositivo utilizzato da chi sta navigando su internet.


In pratica, quando si visita un sito vengono date all'utente delle informazioni ulteriori rispetto a quelle che si vedono durante la navigazione: il sito stesso, solitamente attraverso il browser, invia sul terminale anche questi "cookies" che altro non sono che file di testo che si "parcheggiano" sull'hard disk e vi restano memorizzati (a meno di non eliminarli).


Obiettivo di questa operazione è quello di realizzare, in seguito, uno scambio di informazioni ovvero, in caso di visite successive allo stesso sito, identificare chi lo ha già visionato in precedenza, rammentando le preferenze e offrendogli dunque una migliore esperienza di navigazione, più efficace e personalizzata in base alle precedenti sessioni (anche per quanto riguarda i contenuti pubblicitari visualizzati). Le informazioni oggetto di "recupero" possono essere le più disparate, ad esempio, i prodotti aggiunti precedentemente al carrello, la lingua con cui si desidera visualizzare il sito web, e così via.


Di per sé, i cookie non sono pericolosi, ma col tempo si è verificato che potenzialmente, nelle mani sbagliate, potrebbero derivarne violazioni alla privacy degli utenti e questo ha condotto a normare la disciplina. In Italia, la normativa si basa sul provvedimento emanato nel maggio 2014, dal Garante per la Protezione dei Dati Personali che ha individuato modalità semplificate per l'informativa e l'acquisizione del consenso per l'uso dei cookie, recependo diverse indicazioni recate da direttive comunitarie in tema di protezione dei dati personali. Sulla modalità di espressione del consenso ai cookie ha poi impattato anche l'entrata in vigore del Gdpr.


Leggi anche Cookie law: guida e fac-simile

Cookie di terze parti

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In base alla funzione e alla finalità di utilizzo, i cookie si dividono in diverse tipologie, tra cui quelli c.d. di terze parti. La loro peculiarità risiede nel fatto che tali cookie sono trasmessi da un altro sito web, diverso da quello oggetto di visita: si pensi, ad esempio, ai banner pubblicitari, alle immagini e ai video che sono di un altro sito ma che vengono ospitati dalla pagina che si sta visitando.


Tali cookie vengono di solito utilizzati, spesso da inserzionisti pubblicitari, per tracciare le visite dell'utilizzatore sui siti in cui sono offerti i servizi nonché a fini di profilazione, ovvero per ricostruire le attività degli utenti su diversi siti/aziende e per fornire una pubblicità quanto il più possibile personalizzata e adeguata.


Tuttavia, tali cookie sono installati da sistemi informatici e per scopi e modalità di trattamento sui quali il proprietario del sito non ha il controllo diretto e che, dunque, tramite il suo sito, vengono scaricati sul terminale dell'utente da un altro gestore. Per questo i diversi browser hanno deciso di consentire agli utenti di disattivare i cookie di terze parti qualora un utente ritenga che tale tracciabilità possa essere fonte di preoccupazione e di ingerenza nella propria privacy.

Quale futuro se vengono meno i cookie di terzi parti?

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Nonostante i cookie di terze parti siano stati utilizzati dagli anni '90 per consentire la personalizzazione e la targettizzazione della pubblicità online, dal 2022 il settore è dunque destinato a rivoluzionarsi perché, come accennato, anche Google Chrome si aggiungerà alla lista dei principali browser che impediscono il funzionamento di questi cookie di terzi parti.


Particolarmente interessanti sono le recenti evidenze emerse dall'Osservatorio Internet Media della School of Management del Politecnico di Milano, uno studio importante in quanto, nonostante le ripercussioni che tali cambiamenti avranno sull'intero settore dei media, dagli editori ai brand, e per la filiera dell'Internet advertising, in Italia emerge ancora uno scarso approfondimento del fenomeno.

"L'intera filiera del Programmatic advertising si troverà ad affrontare questi profondi cambiamenti, dal momento che proprio i cookie sono alla base del processo di cookie sync necessario per il matching tra le diverse piattaforme al fine di veicolare l'annuncio targettizzato all'utente" dichiara Giuliano Noci, Responsabile Scientifico dell'Osservatorio Internet Media, sottolineando come negli anni questo settore abbia "aumentato la sua rilevanza all'interno dell'industry pubblicitaria proprio grazie alle sue alte potenzialità di targetizzazione, raggiungendo nel 2020 il valore di 588 milioni di euro in Italia, in crescita del 6% rispetto al 2019. L'impatto derivante dall'eliminazione dei cookie di terze parti su questa filiera sarà quindi molto significativo se gli operatori non si attrezzeranno per adottare soluzioni alternative".

Ancora, l'eliminazione dei cookie di terze parte interesserà anche le aziende investitrici e gli editori, questi ultimi in particolare ne risentiranno soprattutto per la possibile diminuzione delle loro revenue pubblicitarie. Brand e publisher dovranno quindi cercare di valorizzare al meglio i propri dati di prima parte (creati e impostati dai proprietari di un sito web) certamente più di quanto hanno fatto finora, sopperendo così almeno in parte alle perdite dovute all'eliminazione dei cookie e consci del fatto che non potranno più rintracciare gli utenti al di fuori del proprio dominio web.

Soluzioni alternative ai cookie di terze parti

"Lo scenario che si delinea per l'industry pubblicitaria appare quanto meno sfidante." dichiara Andrea Lamperti, Direttore dell'Osservatorio Internet Media "Tuttavia gli operatori del settore si stanno adoperando per adottare e sviluppare delle soluzioni alternative che la Ricerca dell'Osservatorio ha catalogato in tre macro-aree: soluzioni di identità, contextual advertising e altre soluzioni AI-based."

In particolare, queste soluzioni di identità lavorano sul processo di identificazione e tracciamento dell'utente lungo la filiera pubblicitaria tramite l'utilizzo di strategie diverse dai cookie di terze parti. Tra queste si trova l'utilizzo di tre alternative:

- i dati di CRM (Customer relationship management), in particolare l'email, assumeranno un ruolo più importante all'interno della filiera pubblicitaria, come dimostra il fatto che molte piattaforme CRM aziendali e Customer Data Platform supportano già da tempo l'integrazione e l'attivazione diretta di indirizzi email all'interno dei social network;

- il Mobile Advertising ID (MAID) che rappresenta un identificatore fornito direttamente dal sistema operativo del dispositivo Mobile e che, con logiche simili ai cookie di terze parti, trasmette informazioni sul comportamento in app della persona e del dispositivo utilizzato;

- l'Universal ID, ovvero sistemi basati sulle piattaforme di identity resolution e creati per trovare un meccanismo di tracciamento cross-piattaforma che non ponga le proprie basi sul cookie sync. In generale queste soluzioni possono essere di tipo deterministico, basate sull'indirizzo e-mail, o probabilistico, legate alle informazioni derivanti dai cookie di prima parte, di terze parti (fin quando saranno utilizzabili) o indirizzo IP.

La reazione dei brand

Ancora, la Ricerca dell'Osservatorio ha sottolineato la rilevanza assunta dalla tematica "cookieless", oltre che per gli "addetti ai lavori" pubblicitari, anche per tutto l'ecosistema di marketing e comunicazione, in quanto impatterà significativamente il targeting e la misurazione.

Sul punto, si evidenzia come, a inizio 2021, il livello di interesse rispetto allo scenario cookieless appaia "rilevante" e "massimo" in riferimento al Targeting per il 71% dei rispondenti, alla Misurazione per il 65% dei rispondenti e al Programmatic per il 51%. Ciononostante, i ragionamenti in atto relativamente alla tematica sono ancora limitati e la maggior parte degli advertiser dimostra di non aver ancora preso in considerazione né approfondito il fenomeno e, ancora, di avere un livello di preparazione delle aziende valutato come "assente/minimo" o "limitato" in riferimento al Targeting dal 48% dei rispondenti, e con riferimento alla Misurazione e al Programmatic dal 50%.

Inoltre, dalle interviste è emerso che le aziende advertiser "più evolute", ossia quelle che hanno cominciato ad approcciare la tematica con maggiore attenzione, vivono un sentimento di generale preoccupazione e disorientamento, a causa di una deadline non ancora ufficializzata e una mancanza di proposte alternative da parte dei player della filiera.

"Si sta sviluppando nelle aziende un 'senso di urgenza' verso la cultura del dato, che passerà necessariamente anche attraverso le attività di valorizzazione del first party data, il maggior riconoscimento degli utenti sulla base di logiche probabilistiche e la consapevolezza che, in futuro, le decisioni si baseranno su meno dati, ma più precisi" conclude Nicola Spiller, Direttore dell'Osservatorio Internet Media.


Foto: 123rf.com
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