Per la Cassazione, non essendo la fibromialgia una malattia tabellata, incombe sul lavoratore l'onere di provare il nesso causale. Intanto il ddl che prevede l'invalidità è fermo al Senato

Fibromialgia: non è malattia di natura professionale

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La fibromialgia non è una malattia di natura professionale e neppure è inserita nelle tabelle INAIL. Per questo, incombe sul lavoratore l'onere di dimostrare il nesso di causalità tra la patologia riscontrata e l'ambiente lavorativo e le mansioni da lui svolte.


Lo ha chiarito la Corte di Cassazione, sezione lavoro, nell'ordinanza n. 5816/2021 (qui sotto allegata) confermando quanto deciso in sede di merito. La ricorrente, dipendente di banca, aveva chiesto accertarsi la responsabilità della datrice di lavoro per la malattia professionale da cui era affetta con conseguente risarcimento del danno.

Fibromialgia invalidante: disegno di legge fermo al Senato

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La fibromialgia è una malattia cronica che si manifesta con una pluralità di sintomi, tra cui dolore muscolo-scheletrico diffuso, mal di testa, astenia e rigidità muscolare. Una patologia relativamente "nuova", sconosciuta fino a pochi anni fa, poi riconosciuta dall'OMS nel 1992 e oggetto di numerosi studi che hanno man mano verificato quali sono i soggetti più colpiti, le persone più a rischio, la sintomatologia e così via.

Si tratta di una patologia riconosciuta come particolarmente dolorosa e che colpisce un elevato numero di soggetti. Nonostante la sua caratteristica principale sia il "dolore", tale malattia non è ancora riconosciuta come "invalidante", con tutte le conseguenze del caso.

Ciò ha condotto alcuni senatori (Boldrini e Parrini) a predisporre un disegno di legge avente, tra l'altro, proprio l'obiettivo di riconoscere la fibromialgia come malattia invalidante, consentendone ad esempio l'inserimento tra le patologie che danno diritto all'esenzione dalla partecipazione al costo per le correlate prestazioni sanitarie.

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Purtroppo, il riconoscimento "legislativo" della predetta patologia non è ancora avvenuto in quanto il D.D.L. n. 299 (Disposizioni in favore delle persone affette da fibromialgia) risulta fermo dal 1° agosto 2019 al Senato, dopo essere stato assegnato alla 12ª Commissione permanente (Igiene e sanità) in sede redigente il 26 giugno 2018. Nonostante manchi una disciplina nazionale, alcune regioni hanno adottato iniziative e azioni concrete a favore delle persone affette da fibromialgia, dunque la situazione si presenza di fatto "a macchia di leopardo" lungo lo stivale.

Responsabilità del datore di lavoro

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Tanto premesso, nella vicenda giunta all'attenzione della Cassazione, la dipendente, in servizio dal 1995, sostiene che l'ergonomia della postazione di lavoro nonché il microclima ambientale, determinato dal getto dell'aria condizionata durante il periodo primaverile/estivo, le abbiano causato una lesione dell'integrità psicofisica provocandole diversi malanni tra cui scoliosi, discopatia lombare, contrattura della muscolatura, nevralgia, disturbo dell'adattamento d'ansia di media entità e altri.


E, secondo la ricorrente, sarebbe stato il datore di lavoro ad aver omesso di adottare le cautele volte a garantire l'integrità della sua salute psico-fisica. Diversa, invece, l'opinione dei giudici: in particolare, la Corte d'Appello, all'esito di una CTU, ritiene non sussistano i presupposti per configurare la responsabilità ex art 2087 c.c., dovendosi escludere la riconducibilità delle patologie denunciate alla pretesa condotta colpevole della datrice di lavoro.

In particolare, la consulenza tecnica, richiamata dal giudice a quo, ha riscontrato nella dipendente una sindrome fibromialgica alla quale sono riconducibili tutte le malattie denunciate, senza però alcun nesso causale tra tale fibromialgia e l'ambiente di lavoro. E tale prova relativa alla derivazione della malattia da lavoro, evidenzia la Corte territoriale, doveva essere fornita dal lavoratore, trattandosi di malattia non tabellata ai sensi della normativa Inail, ma ciò non è avvenuto nel caso in esame.

Malattia non tabellata e onere della prova dell'origine professionale

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Nonostante i richiami alla normativa Inail e i dubbi sollevati dalla ricorrente in ordine all'individuazione della parte onerata della prova dell'origine professionale della malattia, la Corte di Cassazione conferma la decisione della Corte d'Appello.

Oltre ad aver appurato che tutte le malattie denunciate erano da ricondursi alla fibromialgia, risulta anche che detta malattia non sia di natura professionale e non sia neppure inserita nell'elenco delle malattie la cui origine lavorativa è di elevata probabilità o di limitata probabilità.

La decisione impugnata, inoltre, ha specificato, quanto ai fattori microclimatici, che gli stessi non avevano

prodotto danni di natura permanente né inciso sulla sindrome fibromialgica e si è esclusa l'origine professionale anche della denunciata tendinite, non essendo l'attività lavorativa caratterizzata dallo svolgimento di compiti ciclici ripetitivi o attività continuativa ai videoterminali per più di 20 ore.

La Suprema Corte ribadisce dunque il principio secondo cui "in caso di malattia non tabellata, incombe sul lavoratore l'onere di provare il nesso causale tra la malattia e ambiente lavorativo" (ex multis, Cass. n. 8773/2018), prova che l'impugnata sentenza ha escluso nel caso in esame. Da qui il rigetto del ricorso e la condanna della ricorrente al pagamento delle spese di lite.

Scarica pdf Cassazione Civile, ordinanza n. 5816/2021

Foto: 123rf.com
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