La sostituzione fedecommissaria o fedecommesso prevede che chi fa testamento imponga l'obbligo all'erede o al legatario di conservare i beni ricevuti e consegnarli alla sua morte ad altri

Fedecommesso (art. 692 c.c.)

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La sostituzione fedecommissaria o fedecommesso è l'istituto giuridico in base al quale chi fa testamento dispone un obbligo (in capo all'erede o al legatario) di conservare i beni ricevuti in eredità e consegnarli (alla sua morte) ad altro soggetto da lui nominato.

Tale sostituzione, a differenza della sostituzione ordinaria di cui all'art. 688 c.c., determina l'obbligo per l'istituito, al momento della sua morte, di conservare e restituire i beni ereditati in favore del sostituto.

Analisi storica dell'istituto

Tale istituto nasce con specifica funzione conservativa dei beni del patrimonio familiare, in modo da garantire la permanenza dei beni ereditari nell'ambito dei discendenti di una determinata famiglia. In passato infatti seguiva sostanzialmente il seguente schema: il testatore istituiva quale erede il figlio, disponendo che i beni ereditari fossero vincolati sino alla sua morte e che in seguito passassero automaticamente ad un'altra persona della famiglia indicata dal testatore.

Tale possibilità è stata poi successivamente abolita dal legislatore del 1865 poiché ritenuta un ostacolo per la circolazione dei beni, che rimanevano di fatto vincolati all'interno del medesimo nucleo familiare, ed ha poi trovato nuova vita nel Codice del 1942 c.c.. Nella versione originaria del Codice vigente la sostituzione fedecommissaria veniva infatti nuovamente ammessa seppur con alcuni limiti di carattere soggettivo e oggettivo. Quanto ai primi si disponeva che gli istituiti potessero essere unicamente i figli, i fratelli e le sorelle del testatore e che come sostituti potessero essere indicati i figli o un ente pubblico. Quanto ai limiti di carattere oggettivo poi ricomprendeva unicamente i beni rientranti nella quota disponibile, non incidendo quindi sulla quota di legittima.

L'istituto in questione è stato poi nuovamente oggetto di modifica con la riforma del diritto di famiglia del 1975, nell'ambito della quale ha perso la sua tradizionale funzione conservativa in ragione di una specifica finalità di tipo assistenziale. Attualmente infatti la sostituzione fedecommissaria è possibile unicamente ove risponda ad una ratio di protezione per i congiunti incapaci per il tempo successivo alla morte del testatore. L'ordinamento mira dunque all'incentivazione delle cure del soggetto incapace prevedendo la possibilità di indicare quali sostituiti i soggetti che gli abbiano effettivamente prestato assistenza.

Presupposti del fedecommesso

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L'art. 692 c.c.. innanzitutto prevede limiti di tipo soggettivo con riferimento ai soggetti che possono, nel proprio testamento, disporre la sostituzione fedecommissaria.

Essi sono rispettivamente i genitori, gli altri ascendenti in linea retta o il coniuge dell'interdetto. In secondo luogo prevede che l'istituito possa essere esclusivamente l'interdetto o il minore di età in condizioni di abituale infermità mentale che sia prossimo alla pronuncia di interdizione (art. 692, comma 2). Sul punto, al comma 4 dell'articolo in commento, viene precisato che la sostituzione è priva di effetti nel caso in cui l'interdizione sia negata o il relativo procedimento non venga iniziato entro due anni dal raggiungimento della maggiore età. È inoltre priva di effetti la sostituzione nel caso di revoca dell'interdizione.

Alla luce di ciò l'istituito deve quindi essere:

- figlio, discendente o coniuge del testatore;

- interdetto;

- incapace per tutta la durata della prima istituzione.

La sostituzione fedecommissaria può essere prevista in favore della persona o degli enti che, sotto la vigilanza del tutore, hanno avuto cura dell'istituito. Si ritiene che la cura dell'incapace, che può essere intesa sia in senso morale che materiale, sia un vero e proprio onere imposto al sostituto. All'art. 692, comma 3 c.c. viene previsto che, nel caso in cui vi sia una pluralità di persone o enti, i beni siano attribuiti in proporzione al tempo durante il quale gli stessi hanno avuto cura dell'interdetto. In ogni caso la sostituzione è revocata in caso di violazione degli obblighi di cura.

Con il fedecommesso assistenziale si realizza quindi una duplice delazione che determina la vocazione immediata tanto dell'istituito, quanto del sostituto. Quest'ultimo però subentra nell'eredità, come erede originario del de cuius, solo a seguito della morte del primo e sempre che sia stato adempiuto l'obbligo di cura.

I poteri dell'istituito

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Ai sensi dell'art. 693 c.c. l'istituito ha solo il godimento e la libera amministrazione dei beni che formano oggetto della sostituzione. Può inoltre stare in giudizio per tutte le azioni relative ai beni medesimi e può altresì compiere tutte le innovazioni dirette ad una migliore utilizzazione dei beni. Si tratta quindi di poteri solo conservativi dei beni ereditari ed è privo dei poteri dispositivi. È invece previsto il divieto di disposizione dei beni ereditari: l'alienazione è infatti ammessa ex art. 694 c.c. unicamente in caso di utilità evidente e previa autorizzazione dell'autorità giudiziaria.

Natura giuridica del diritto dell'istituito

Stante l'impossibilità di disporre dei beni ereditari certa dottrina parla al riguardo di diritto di proprietà temporaneamente indisponibile individuando nella morte dell'istituito il termine finale della temporaneità. Secondo altra ricostruzione invece la vicenda dovrebbe essere inquadrata nell'ambito del diritto di proprietà risolubile. Si tratterebbe di una risolubilità atipica dal momento che l'evento morte è un evento certus an, ma incertus quando. In tal modo si configura la possibilità di alienare i beni sotto condizione sospensiva della mancata operatività del fedecommesso per il venir meno di requisiti previsti dall'art. 692 c.c.

Il divieto generale di sostituzione fedecommissaria

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Il fedecommesso assistenziale costituisce una deroga al divieto generale posto a carico del testatore di prevedere vincoli alla libertà di alienazione dei beni devoluti all'erede con l'apertura della successione. Tale divieto è confermato dal comma 5 dell'art. 692 c.c. che prevede la nullità, peraltro non sanabile ex art. 590 c.c., di ogni altro caso di sostituzione.

Alla luce di tale divieto di ordine generale si ritiene che sia inammissibile nel nostro ordinamento il c.d. fedecommesso de residuo. Con tale espressione si fa generalmente riferimento a quella disposizione testamentaria che, seppur non comporti un vero e proprio divieto di alienazione, al contempo impone di devolvere al sostituito i beni residui.

Si è poi tradizionalmente discusso circa l'ammissibilità della clausola si sine liberis decesserit, ovvero la clausola con cui il testatore prevede un sostituto nel caso in cui l'istituito muoia senza lasciare figli. In tal caso, in caso di avveramento della condizione (morte dell'istituito senza discendenti) l'istituzione sarà risolta con effetto retroattivo e l'istituito sarà considerato come se non fosse mai stato erede. Tale possibilità è guardata con sospetto stante la possibilità che l'avveramento della condizione risolutiva coincida con la morte dell'istituito, sicché sarà compito del giudice di merito verificare se la clausola sia stata posta in essere con l'intento di eludere il divieto di cui all'art. 692, ult. comma c.c.


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