In base all'art. 747 c.p.c., l'autorizzazione alla vendita di beni ereditari va richiesta con ricorso al tribunale del luogo di apertura della successione

Autorizzazione e accettazione con beneficio d'inventario

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L'autorizzazione alla vendita di beni ereditari è un atto necessario ogni qualvolta l'intenzione di vendere il bene provenga dagli eredi che abbiano accettato con beneficio d'inventario.

L'erede beneficiario, infatti, non può liberamente disporre dei beni ricompresi nell'eredità, perché altrimenti decadrebbe dal beneficio e diverrebbe erede a tutti gli effetti, rispondendo degli eventuali debiti anche con il proprio patrimonio personale.

Come noto, invece, l'accettazione con beneficio d'inventario riserva all'erede il vantaggio di non rispondere dei debiti ereditari con il proprio patrimonio.

Quando va richiesta l'autorizzazione

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Per vendere un bene ereditario o comunque per compiere qualsiasi altro atto di straordinaria amministrazione (ad esempio consentire la costituzione di un pegno o di un'ipoteca, oppure effettuare una permuta o una transazione) l'erede deve, dunque, rivolgersi al tribunale per ottenere la relativa autorizzazione.

Ciò vale sia per i beni immobili che per i beni mobili, ma per questi ultimi solo nel caso in cui non siano ancora trascorsi 5 anni dall'accettazione con beneficio d'inventario (cfr. art. 493 c.c., secondo comma).

Il tribunale a cui rivolgersi è quello del luogo di apertura della successione, cioè quello del luogo dell'ultimo domicilio del defunto (cfr. art. 456 c.c.).

Violazione dell'obbligo

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L'autorizzazione è prevista allo scopo di consentire la conservazione del patrimonio ereditario.

Se, infatti, gli eredi beneficiari fossero liberi di vendere i beni presenti nell'asse, ciò si tradurrebbe in una lesione dei diritti dei creditori del defunto.

La vendita autorizzata, del resto, può avere proprio lo scopo di pagare tali creditori o comunque di conseguire un vantaggio economico in favore dell'eredità.

Per i motivi appena esposti, la violazione dell'obbligo di ottenere l'autorizzazione giudiziale è sanzionata in maniera particolarmente grave, e cioè con la perdita dei vantaggi legati all'accettazione con beneficio d'inventario.

In particolare, vendendo un bene (anche mobile) senza autorizzazione o compiendo qualsiasi altro atto di straordinaria amministrazione, il soggetto diviene erede a tutti gli effetti e risponde dei debiti ereditari anche con il proprio patrimonio personale.

La decadenza dal beneficio d'inventario come conseguenza del mancato ottenimento dell'autorizzazione giudiziale è espressamente prevista dal primo comma dell'art. 493 c.c.

Obbligo per il chiamato

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Analogamente a quanto accade in tema di beneficio d'inventario, anche il chiamato all'eredità che non abbia ancora accettato o rifiutato l'eredità è tenuto a chiedere l'autorizzazione per la vendita di beni di difficile conservazione.

Il chiamato, infatti, a norma dell'art. 460 c.c., ha facoltà di esercitare azioni possessorie e compiere atti conservativi anche prima della decisione in ordine all'accettazione o meno dell'eredità.

Il mancato ottenimento dell'autorizzazione giudiziale alla vendita comporta, per il chiamato, la perdita del diritto di rinunciare all'eredità o di accettarla con beneficio d'inventario; egli, cioè, diviene erede a tutti gli effetti.

Procedura per ottenere l'autorizzazione

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La richiesta di autorizzazione giudiziale ex art. 747 c.p.c. si ottiene mediante ricorso al tribunale, al quale va allegata l'opportuna documentazione che consenta di valutare la fondatezza della domanda.

Nel caso di minori e incapaci, la richiesta è presentata dai genitori o dal tutore e dev'essere sentito il giudice tutelare.

Nel caso si tratti di richiesta di autorizzazione per la vendita di beni immobili, il richiedente deve allegare al ricorso anche una perizia giurata, nonché copia della dichiarazione di successione.

Quando la richiesta provenga da soggetto che abbia accettato con beneficio d'inventario, questi deve allegare copia dell'accettazione e dell'inventario stesso.

Il tribunale decide con decreto, reclamabile in Corte d'Appello entro dieci giorni dalla comunicazione.


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