La Cassazione fa il punto sui principi in materia di diffamazione commessa via posta elettronica, sulla scriminante del diritto di critica e sulla valutazione del requisito della continenza

Il reato di diffamazione commesso via PEC

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Il reato di diffamazione, come disciplinato all'art. 595 c.p., prevede tra i suoi requisiti quello della comunicazione con più persone, dunque la diffusività del messaggio denigratorio. Il che si riscontra in tutta una serie di ipotesi, compreso l'invio di e-mail e anche di messaggi via PEC (posta elettronica certificata) seppur inoltrati a una sola persona. Le caratteristiche della PEC, infatti, non sono tali da escludere la potenziale accessibilità di terzi nelle comunicazioni.

Resta comunque da valutare la possibilità che le espressioni, seppur colorite, siano scriminate dall'esercizio del diritto di critica, che richiede comunque che non sia superato il limite della continenza il quale richiede una forma espositiva corretta che non trasmodi nella gratuita e immotivata aggressione all'altrui reputazione. In realtà, oltre al tenore delle espressioni pesa anche il contesto complessivo in cui la terminologia viene utilizzata, come nei casi di esposti indirizzati a organi di disciplina o finalizzati all'attivazione di poteri di accertamento.

Importanti precisazioni in materia sono giunte a seguito della sentenza n. 34831/2020 (sotto allegata) con cui la quinta sezione penale della Corte di Cassazione ha annullato senza rinvio la sentenza impugnata ritenendo che il fatto non costituisse reato. La vicenda esaminata muove dalla condanna dell'imputato, in sede di merito, per il reato di diffamazione commesso via PEC.

Diffamazione via e-mail

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In apertura, la Suprema Corte si sofferma sulla diffamazione via posta elettronica, rammentando che l'invio di e-mail a contenuto diffamatorio, realizzato tramite l'utilizzo di internet, può integrare un'ipotesi di diffamazione aggravata, quando plurimi ne siano i destinatari, in presenza della prova dell'effettivo recapito dello stesso, ovvero che il messaggio sia stato "scaricato" mediante trasferimento sul dispositivo del destinatario.

In particolare, in caso di invio multiplo, realizzato con lo strumento del "forward" a pluralità di destinatari, il reato di diffamazione si configura in forma aggravata ai sensi dell'art. 595, comma terzo, c.p., stante il "particolare e formidabile mezzo di pubblicità della posta elettronica".

Comunicazione con più persone

L'utilizzo della posta elettronica non esclude la sussistenza del requisito della "comunicazione con più persone" anche qualora destinatario del messaggio sia direttamente ed esclusivamente una sola persona determinata, qualora l'accesso alla casella mail sia consentito almeno ad altro soggetto, a fini di consultazione, estrazione di copia e di stampa, e tale accesso plurimo sia noto al mittente o, quantomeno, prevedibile secondo l'ordinaria diligenza.

Si pensi, ad esempio, al messaggio di posta elettronica trasmesso al responsabile di un pubblico ufficio per motivi inerenti la funzione svolta che, per necessità operative del servizio o dell'ufficio, non rimane riservato tra il mittente e il destinatario e dunque sarà destinato ad essere visionato da più persone, salva l'esplicita indicazione di riservatezza.

In tal caso, si legge in sentenza, la modalità di trasmissione a mezzo e-mail in nulla si distingue dall'ordinario inoltro per posta ordinaria, in busta chiusa non recante la dicitura "riservata - personale", essendo la comunicazione originata da ragioni di ufficio destinata a essere conosciuta anche dagli addetti all'apertura e smistamento della corrispondenza, o a successivi destinatari, competenti per le fasi del procedimento amministrativo al quale la comunicazione medesima abbia dato avvio.

E tale destinazione "in incertam personam" riguarda, all'evidenza, anche gli allegati ad una nota di trasmissione, che con quest'ultima si integrano per relationem, avendone il mittente fatto proprio il contenuto.

Diffamazione e Posta Elettronica Certificata (PEC)

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Per quanto riguarda la PEC, gli Ermellini la descrivono come un particolare tipo di posta elettronica, che consente di assegnare ad un messaggio di posta elettronica lo stesso valore legale di una tradizionale raccomandata con avviso di ricevimento, garantendo così la prova dell'invio e della consegna.

Dal punto di vista dell'utente, dunque, la casella PEC non si differenzia da una normale casella di posta elettronica, se non per ciò che riguarda il meccanismo di comunicazione e la presenza delle ricevute inviate dai gestori PEC al mittente e al destinatario. Inoltre, il contenuto può essere certificato e firmato elettronicamente, ovvero criptato, garantendo, in tal caso, autenticazione, integrità dei dati e confidenzialità.

Potenziale accessibilità a terzi

I giudici ritengono che caratteristiche della PEC non escludono ex se la potenziale accessibilità delle comunicazioni a terzi, diversi dal destinatario, attenendo la certificazione ai soli elementi estrinseci della comunicazione (data e ora di ricezione), e non già alla esclusiva conoscenza per il destinatario della e-mail originale.

Nondimeno, l'utilizzazione della PEC richiede un rafforzato onere di giustificazione riguardo l'elemento soggettivo del reato di diffamazione, in particolare con riguardo alla prevedibilità in concreto dell'accessibilità di terzi al contenuto dichiarativo, laddove il mittente opti per siffatto tipo di comunicazione proprio al fine della prova della ricevuta, avente valore legale, da parte del destinatario.

Indici rivelatori, in tal senso, possono essere desunti dalla conoscenza delle prassi in uso al destinatario, ovvero dalla natura stessa dell'atto, se destinato all'esclusiva conoscenza del medesimo o se, invece, finalizzato all'attivazione di poteri propri di quest'ultimo che, necessariamente, implichino l'accessibilità delle informazioni da parte di terzi.

Segnalazioni ed esposti: la valutazione dei toni utilizzati

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I giudici si soffermano, infine, sul tema della diffamazione realizzata mediante esposti indirizzati ad organi di disciplina o, in genere, mediante osservazioni finalizzate all'esercizio di poteri di controllo e verifica, sottolineando l'importanza rivestita dalla necessaria valutazione della possibile sussistenza della causa di giustificazione di cui all'art. 51 c.p. o della causa di non punibilità ex art. 598 del codice penale.

Nella delineata prospettiva, si ritiene non integri il delitto di diffamazione la condotta di chi invia una segnalazione, ancorché contenente espressioni offensive, alle competenti autorità, volta ad ottenere un intervento per rimediare ad un'illegittimità amministrativa, mediante attivazione dei poteri di autotutela, considerato che, in tal caso, ricorre la generale causa di giustificazione di cui all'art. 51 c.p., "sub specie" di esercizio del diritto di critica, anche in forma putativa, laddove l'agente abbia esercitato il diritto di critica ed assolto l'onere di deduzione di fatti nella convinzione, anche erronea, del rilievo dei medesimi ai fini richiesti.

Diritto di critica e continenza

In tal senso, "il diritto di critica si concretizza in un giudizio valutativo che postula l'esistenza del fatto assunto ad oggetto o spunto del discorso critico ed una forma espositiva non ingiustificatamente sovrabbondante rispetto al concetto da esprimere e, conseguentemente, esclude la punibilità di coloriture ed iperboli, toni aspri o polemici, linguaggio figurato o gergale, purchè tali modalità espressive siano proporzionate e funzionali all'opinione o alla prospettazione di una violazione, in considerazione degli interessi e dei valori che si ritengono compromessi".

In particolare, nel valutare il requisito della continenza, necessario ai fini del legittimo esercizio del diritto di critica, si dovrà tenere conto del complessivo contesto dialettico in cui si realizza la condotta e verificare se i toni utilizzati dall'agente, pur aspri e forti, non siano gravemente infamanti e gratuiti, ma siano, invece, comunque pertinenti al tema in discussione ed alla sede dell'esternazione, che tollera limiti più ampi alla tutela della reputazione.

Il requisito della continenza, dunque, non può ritenersi superato per il solo fatto dell'utilizzo di termini che, pur avendo accezioni indubitabilmente offensive, hanno però anche significati di mero giudizio critico negativo di cui deve tenersi conto anche alla luce del complessivo contesto in cui il termine viene utilizzato, rispetto al quale assume rilevanza il profilo soggettivo del dichiarante e la sua capacità espressiva in riferimento al livello culturale e sociale.

In conclusione, le espressioni utilizzate non andranno riguardate nell'astratto tenore testuale e semantico, ma dovranno essere valutate nella loro concreta articolazione e nella complessiva portata significativa, non esorbitando dai limiti della critica consentiti quando le stesse abbiano una accezione, comune per la lingua italiana, compatibile con il requisito della continenza e, soprattutto, siano funzionali alla formulazione di censure pertinenti con il tema devoluto.

Scarica pdf Cassazione Penale, sentenza n. 34831/2020

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