Aggravata la diffamazione a mezzo Facebook perché la rete veicola le opinioni in modo rapido e capillare, se poi si offende un vigile il risarcimento sale

Offese sulla pagina Facebook alla Polizia Municipale

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Il Tribunale di Vicenza con la sentenza n. 1673/2020 (sotto allegata) riconosce a un appartenente delle Forze della Polizia Municipale un risarcimento del danno non patrimoniale di 15.000 euro perché offeso a mezzo Facebook nella sua dignità e reputazione. La sentenza appare particolarmente interessante perché spiega le ragioni per le quali Facebook rappresenta uno strumento in grado di aggravare la condotta diffamatoria. Vediamo ora come sono andate le cose fin dall'inizio.

Il Comandante del Consorzio Polizia Municipale nord est vicentina e un'agente scelto sporgono denuncia querela nei confronti del convivente di una donna, multata il giorno precedente per l'uso del cellulare alla guida. Il soggetto è accusato di aver pubblicato sulla sua pagina Facebook

la foto del verbale di accertamento irrogato alla convivente, accompagnato dal seguente commento: "ieri alle 12:10 i sig. Ag. Sc. ... e Ag. Sc … hanno verbalizzato questo verbale alla mia convivente, l'art.173 parla della guida al veicolo con l'uso del cellulare. Allora ditemi se io ieri avevo il cellulare della mia donna, cosa hanno visto questi due agenti di polizia municipale? Sapendo che fanno uso ed abuso di alcool, come mai sono ancora in servizio? ….. e ….., vi auguro che i vostri figli muoiano, della peggior malattia esistente sulla terra. Questo è quello che vi meritate, pezzenti, alcoolizzati e tossici. Amen."

Giudizio penale e azione civile di risarcimento danni

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In sede penale il soggetto viene rinviato a giudizio per il reato di cui all'art. 595 commi 3 c.p. e 4 c.p., che puniscono con pene più severe la diffamazione aggravata, che si produce quando l'offesa dell'altrui reputazione si realizza con un mezzo di pubblicità (Facebook) nei confronti di un soggetto che ricopre, come nel caso di specie, una funzione amministrativa.

L'attore decide di non costituirsi parte civile nel procedimento penale, ma di azionare una causa civile in cui richiede il risarcimento dei danni derivati dalla violazione degli artt. 2043 e 2059 c.c. stante la lesione di diritti inviolabili costituzionalmente garantiti.

Per l'attore le espressioni utilizzate dal querelato sono offensive, denigratorie e minacciose, lesive del suo decoro e della sua reputazione personale e professionale e della dignità dei suoi familiari. Le parole del post possiedono un intrinseco effetto offensivo "senza considerare che si accusa la persona di fare abuso di sostanze alcoliche, stupefacenti e di non essere stato in grado di effettuare validamente l'accertamento, i compiti lavorativi a cui è preposto."

Il convenuto nel pubblicare il post suddetto non ha rispettato il vincolo della continenza sostanziale (veridicità dei fatti) e formale (espressioni utilizzate) e il fatto di aver utilizzato Facebook è ancora più grave perché ha impedito qualsiasi contraddittorio.

Diffamazione aggravata se realizzata a mezzo Facebook

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Sulla diffamazione a mezzo Facebook la Corte di Cassazione ha chiarito che l'utilizzo di questo social network rende più grave la diffamazione commessa perché "si tratta di una condotta potenzialmente capace di raggiungere un numero indeterminato di soggetti ampliando e aggravando l'offesa con la capacità diffusiva del mezzo utilizzato". Da considerare inoltre, in riferimento al caso di specie, che nonostante il giudizio in corso, il post (la cui presenza e riconducibilità al convenuto sono stati dimostrati a mezzo perizia tecnica) non è stato rimosso dalla pagina Facebook. Tutti elementi che confermano l'accusa di diffamazione aggravata.

Risarcimento danni non patrimoniali da diffamazione

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In merito al ristoro dei danni cagionati dal convenuto alla persona offesa il Tribunale di Vicenza precisa che, per provare il danno non patrimoniale si "debba ricorrere a presunzioni e massime di comune esperienza e nel caso di specie valutare la condotta tenuta dal convenuto e le conseguenze negative nella sfera professionale, morale e relazionale dell'attore" e che, ai fini del risarcimento, si debbano considerare anche l'entità e la diffusione del messaggio denigratorio.

Il Tribunale quindi presume che "la lesione della reputazione arrecata per mezzo di un veicolo di comunicazione così capillare come è il social network Facebook, che raggiunge un ampio pubblico e che volutamente il convenuto ha permesso con la diffusione capillare data dalla tipologia di post pubblicato (pubblico), abbia arrecato alla persona offesa una sofferenza morale meritevole di ristoro. L' automatismo del nesso causale è di tale evidenza da far sì che il relativo onere di allegazione possa riferirsi soddisfatto attraverso il richiamo al contenuto e alle modalità di diffusione delle affermazioni lesive (Cass. n.6481/2012). (…) Ne consegue che il ristoro economico da riconoscere all'attore non potrà essere meramente simbolico, tenuto conto della permanenza del post nel profilo del convenuto. Per la quantificazione del danno si terrà quindi in considerazione l'elevato contenuto lesivo e minaccioso delle affermazioni pronunciate dal convenuto, della loro portata diffamatoria e denigratoria, della assoluta indicazione del destinatario."

Per tutte le ragioni suddette il Tribunale riconosce in via equitativa a titolo di risarcimento del danno non patrimoniale la somma di 15.000 euro a cui devono aggiungersi la rivalutazione monetaria e gli interessi dalla pubblicazione del post al saldo.

Leggi anche:

- Diffamazione aggravata a mezzo Facebook

- La Cassazione sul reato di diffamazione sui social

Scarica pdf Tribunale Vicenza n. 1673/2020
Vedi anche:
Facebook: ecco gli aspetti legali che ognuno dovrebbe conoscere

Foto: 123rf.com
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