Riflessioni sull'art. 348 c.p. in caso di attività di agente sportivo esercitata abusivamente e profili di concorso in capo all'atleta-assistito

Il registro degli agenti sportivi

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A seguito dell'emanazione della Legge n. 205/2017 il CONI, attraverso numerosi decreti attuativi, si è trovato, ancora una volta, a dover mutare l'inquadramento giuridico soggettivo e i requisiti per il legittimo svolgimento dell'attività professionale dei cosiddetti "agenti sportivi", andando ad incidere, in modo particolare, sulle "modalità delle prove abilitative, sugli obblighi di registrazione ed sui parametri dei compensi".

Ciò che più rileva, rispetto all'oggetto del presente articolo, si può rinvenire nella lettura congiunta delle disposizioni in forza delle quali ciascun soggetto, solo se munito dei necessari requisiti, può richiedere al CONI e alla Federazione l'iscrizione nel cosiddetto Registro.

Si conferma, in altre parole, l'obbligo per ciascun soggetto (fatta esclusione per gli avvocati del libero foro che godono dell'apposita deroga ex lege) che intenda svolgere professionalmente l'attività di agente sportivo di iscrizione al relativo Registro.

Agenti non iscritti al registro: il diritto sportivo

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Ma, a ben vedere, quali sono le conseguenze dell'assenza di detta iscrizione?

Ovviamente, come spesso avviene quando si incontrano le direttrici proprie del diritto sportivo e del diritto ordinario, i profili di analisi sono duplici.

In seno al diritto sportivo, infatti, la conseguenza della mancata iscrizione è relativamente semplice, in quanto si avrà, un po' come avviene nel caso di contratto concluso da un falsus procurator ex art. 1398 c.c., la insindacabile dichiarazione di nullità dell'incarico conferito dall'atleta al falsus agente; nullità che sarà da intendersi ex tunc e, quindi, avente effetto retroattivo, imprescrittibile ed insanabile.

Nonostante ciò, però, a tutela dei diritti dell'atleta, è stato precisato che la nullità dell'incarico conferito non comporta anche l'automatismo della nullità del contratto e del tesseramento sottoscritto dall'atleta medesimo con la Società, il quale, dunque, rimarrà valido e conserverà i suoi effetti.

La ratio di tale disposizione, oltre alla generica tutela del terzo (la Società) e della certezza del fenomeno giuridico, si basa anche sulla presunzione, legale, di buona fede da parte dell'atleta che, astrattamente, poteva non essere al corrente della illegittima attività di chi (come il falsus agente) riteneva essere abilitato.

Ricordando che, a memoria dell'art. 2727 c.c., si ha presunzione ogniqualvolta da un fatto noto e provato si deduce l'esistenza di un fatto ignoto e che, di conseguenza, si ha inversione dell'onere della prova ogniqualvolta si voglia dimostrare il contrario, non si può però non ricordare che anche l'atleta potrebbe incorrere in sanzioni qualora si riuscisse a dimostrare che era a conoscenza della non-iscrizione dell'Agente e che, nonostante questo, abbia comunque consentito a conferirgli il potere di rappresentanza, sulla falsariga di quanto già avviene a sanzione delle Società che abbiano conferito mandato ad un agente non iscritto.

Le agenzie iscritte nel registro agenti

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Corollario a ciò si può rinvenire con interesse in relazione al modus operandi di alcune cosiddette agenzie iscritte nel registro agenti: com'è noto, infatti, presso detto registro possono iscriversi sia persone fisiche che giuridiche ed è altrettanto noto che queste ultime, per prassi, operino, all'interno delle proprie dinamiche interne, sia attraverso il soggetto legittimato (ed in virtù della presenza del quale la domanda di iscrizione è stata approvata) sia attraverso "collaboratori e/o soci" che siano, però, privi dei requisiti soggettivi per l'iscrizione.

Come porsi, quindi, in questi casi? La normativa sul punto è tutt'altro che complicata, essendo, anzi, relativamente chiara quando definisce che ciascuna società può, nelle prerogative della propria organizzazione interna, demandare ruoli e incarichi del tutto marginali anche a soggetti privi del riconoscimento soggettivo legittimante, ma con la draconiana precisazione che a tali soggetti non può, mai e in nessun caso, essere demandato l'incarico di sottoscrivere o far sottoscrivere atti e documenti, di intrattenere trattative (neanche nella loro fase embrionale) e di rappresentare (neanche in modo informale) l'atleta. Per migliore precisazione, si è chiarito che tali "collaboratori" possano sì intrattenere rapporti con i calciatori ma, ben lontani dal poter essere definiti "agenti", incorrono in presunzione di sanzione ogniqualvolta intrattengano rapporti, anche minimi, con le società, essendo il loro apporto consentito solo all'interno della propria agenzia di riferimento ma mai eterorivolto.

Falsus agente: il reato

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In seno al diritto ordinario, invece, la disciplina e le conseguenti sanzioni acquistano ancor più rilievo. Infatti, sul presupposto proprio per cui è stata una legge ordinaria, e non più una disposizione interna al CONI, a pretendere ex art. 2229 c.c., quale condizione essenziale per lo svolgimento dell'attività, l'iscrizione al registro, ne consegue che, esattamente come avviene per tutte le altre professioni tipiche, chi esercita abusivamente attività equiparabili a quelle dell'agente sportivo in assenza di iscrizione incorre nella violazione dell'art. 348 c.p. in tema di esercizio abusivo della professione, con pene che vanno da sei mesi a tre anni di reclusione. Pena che, inoltre, aumenta fino a cinque anni per chi, essendo a sua volta iscritto e/o abilitato, favorisce (ovviamente, non nel senso dell'art. 378 c.p.) o comunque cela l'attività di soggetti non abilitati mediante una formale, od informale, riferibilità a sé.

In altre parole, quindi, puniti saranno sia coloro che operano sulla base del "lavoro con Tizio" sia coloro che operano sulla base del "faccio parte dell'Agenzia Alfa" nonché, a ben vedere, lo stesso Tizio e la stessa Agenzia Alfa qualora essi abbiano agevolato, favorito o celato l'esercizio abusivo del falsus Agente.

Tutto ciò, infatti, oltre ad essere un'ovvia conseguenza, in tema di elemento oggettivo del reato, della lettura dell'art. 348 c.p., trova ulteriore conferma anche all'interno del diritto sportivo, giacché all'art. 21 del Regolamento Agenti CONI è riferito, al comma VI, il chiaro richiamo alla disciplina di matrice penalistica.

Condotta punita

In particolare, infatti, occorre ricordare, per meglio inquadrare la fattispecie, che il falsus agente incorre in censura penale ogniqualvolta compia fatti o atti che, pur non attribuiti singolarmente in via esclusiva ad una determinata professione, siano univocamente individuati come di competenza specifica di essa, allorché detto compimento venga realizzato con modalità tali, per continuatività, onerosità ed organizzazione, da creare le oggettive apparenze di un'attività professionale svolta da soggetto regolarmente abilitato (Sez. Unite, n. 11545 del 2011). Peraltro, avendo detto illecito natura istantanea, non si esige un'attività continuativa ma il reato si perfeziona anche con il compimento di un solo atto tipico proprio della professione abusivamente esercitata (Cass. Pen., Sez. VI, n. 11493/2013; n. 30068/2012; n. 42790/2007).

Il che vale anche, come si diceva precedentemente in relazione ai "collaboratori e/o soci" di agenzie, per ogni soggetto che, con riferimento ad una professione protetta, partecipi allo svolgimento di qualunque atto idoneo ad incidere sulla progressione del procedimento di trattative e/o di conclusione di accordi economici in piena rappresentanza dell'assistito interessato (Cass. Pen, Sez. VI, n. 17921 /2003, sebbene, contra, Sez. VI, n. 32952/2017 in riferimento ad attività di compilazione di accordi o modelli tipo, purché l'attività sia meramente compilativa e non di consulenza).

Il tutto con la precisazione, più volte confermata dai Giudici delle Leggi e, quindi, applicabile certamente tanto alla normativa ordinaria quanto, ovviamente, a quella sportiva, che a nulla vale la consapevole accettazione dell'atleta-assistito circa la non legittimità della prestazione da parte del falsus agente, giacché l'art. 348 è una tipica norma in bianco, nella quale l'ordinamento, a fronte della gravità della fattispecie e del dovere di proteggere oltre all'interesse privato anche l'interesse pubblico, ha inteso punire chi compie l'attività abusivamente a prescindere dall'altrui consapevole consenso.

Il concorso dell'atleta assistito

Sul punto, però, giova ricordare che l'art. 348 c.p. rappresenta un reato a concorso necessario, essendo fondamentale, per la sua configurazione, la partecipazione (volontaria e cosciente o meno) anche di un altro soggetto, quale è, in questo caso, l'atleta-assistito. Bisognerà dunque chiedersi se, in questo caso, si tratti di concorso necessario punibile o non punibile: ci si domanda, dunque, se possa esservi censura anche direttamente dell'atleta-assistito che, consapevolmente, si faccia affiancare da un Agente non autorizzato e che, quindi, stia compiendo la professione in modo abusivo.

La risposta deve necessariamente partire dalla menzione dell'art. 110 c.p., in forza del quale, sotto il profilo dell'elemento psicologico del reato, è necessario che in capo al concorrente vi siano la coscienza e volontà di concorrere nell'altrui realizzazione della condotta criminosa. Infatti, sebbene nel reato concorsuale il dolo del concorrente non presupponga necessariamente un previo accordo specifico, ci si deve ugualmente domandare se l'atleta-assistito possa rispondere del concorso in esercizio abusivo della professione per il solo fatto di aver agevolato la condotta abusiva del falsus agente.

Sul punto, la Suprema Corte si è espressa nel precisare che non possa essere punita, a titolo di concorso, la condotta di mera connivenza o tolleranza, essendo infatti necessario che sia dimostrato un effettivo contributo personale del concorrente alla realizzazione del reato.

Il contributo alla realizzazione del reato

In altre parole, dunque, trovandocisi davanti a una reato potenzialmente continuato e a una fattispecie indubbiamente di difficile dimostrazione, si dovrà fare ricorso all'analisi di due criteri distintivi: da un lato, come detto, la coscienza e volontà dell'Assistito di farsi rappresentare da un falsus Agente e dall'altro, la presenza di un interesse, morale o materiale, di tale accettazione se corroborato da una condotta proattiva dell'atleta-assistito consistente non solo nell'accettazione stessa ma anche nell'agevolazione della commissione illecita.

Se, quindi, l'atleta-assistito, scientemente, ha accettato di farsi assistere da un falsus Agente poiché, con consapevolezza, ritenga che detta circostanza possa, per qualche modo o maniera, rappresentare per lui un vantaggio diretto, ecco che in forza di ciò la sua condotta non potrà più essere fatta salva per carenza di punibilità ma, bensì, porterà a configurare certamente una responsabilità concorsuale sulla base dell'accertamento, oltre alla coscienza ed alla volontà di concorrere alla realizzazione del fatto materiale, del rilievo e dell'incidenza della volontà specifica dell'evento ulteriore, non solo accettato ma, concretamente, ambito e ricercato ed al quale si è collaborato. Così come avranno rilievo punitivo, a titolo di esmepio, anche tutte quelle ulteriori condotte da parte dell'atleta-assistito che, in maniera diretta, possano favorire e/o agevolare la commissione e/o reiterazione del reato, come ad esempio la pubblicizzazione, con i propri colleghi, del falsus Agente o mediante il celare, davanti alle Società, la conosciuta circostanza dell'illegittimità della rappresentanza.

Procedibilità del reato commesso dal falsus agente

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Da ultimo, come è stato recentemente affermato e confermato, il reato prevede la procedibilità d'ufficio, sicché non è più direttamente necessario che sia l'assistito, danneggiato dal falsus agente a sporgere querela, potendo piuttosto iattivarsi liberamente sia la Procura della Repubblica che quella federale in capo al CONI.


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