La Cassazione chiarisce che la paternità si può accertare dai campioni biologici che le Aziende ospedaliere consegnano al Ctu senza violare la privacy

di Annamaria Villafrate - La Cassazione con la sentenza n. 8459/2020 (sotto allegato) respinge il ricorso avanzato dall'erede di un uomo convenuto in sede civile dal figlio naturale per accertare il suo status. Contrariamente a quanto sostenuto dal ricorrente in sede civile sono utilizzabili i campioni biologici consegnati dalle Aziende Ospedaliere al Ctu incaricato, senza il rischio di violare la privacy, stante la prevalenza dell'interesse giudiziario. Il Ctu inoltre, non è obbligato a presenziare a tutte le operazioni peritali, come sostenuto dal ricorrente. Lo stesso infatti può avvalersi, nell'espletamento del suo incarico, del supporto di esperti e collaboratori.

Domanda di accertamento dello status di figlio naturale

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La Corte d'Appello conferma la decisione di primo grado che ha accolto la domanda di accertamento dello status di figlio naturale. Rigettata invece quella riconvenzionale che ha richiesto il risarcimento del danno per "doloso occultamento della procreazione con conseguente ingiusta privazione per il padre del rapporto di filiazione."

Dati personali rilasciati illecitamente dall'ospedale

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L'erede soccombente ricorre in Cassazione per portare avanti l'azione del padre, sollevando cinque motivi di doglianza, tra i quali meritano di essere analizzati con particolare attenzione:

  • Il terzo motivo, con cui si contesta la violazione e la falsa applicazione della normativa interna e comunitaria in materia di privacy, in quanto i dati personali sulla base dei quali è stata redatta la Ctu non possono in realtà utilizzarsi nel processo civile, quando, come nel caso di specie, vengono rilasciati "illecitamente" dalle strutture ospedaliere che li detengono, in palese violazione dell'art. 191 c.p.p, che vieta l'utilizzo di prove acquisite in modo illegittimo.
  • Il quarto invece invoca la nullità della Ctu perchè le indagini sono state svolte da soggetti diversi rispetto all'ausiliario nominato dal Giudice, che non ha neppure presenziato alle operazioni.

Paternità dimostrabile con campioni biologici consegnati a Ctu senza violare privacy

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Con la sentenza n. 8459/2020 la Cassazione rigetta il ricorso, così motivando il giudizio di infondatezza del terzo e del quarto motivo.

In relazione al terzo motivo del ricorso la Corte precisa che il regime della inutilizzabilità della prova prevista dall'art. 191 c.p.p non è applicabile al processo civile. Le controversie aventi ad oggetto i diritti dei privati non richiedono infatti le stesse garanzie richieste per il processo penale. In sede civile inoltre il giudice non incontra il limite delle prove tipiche, potendo utilizzare anche prove atipiche, la cui rilevanza dipende da una valutazione del magistrato.

Esclusa quindi la possibilità di applicare la regola della inutilizzabilità della prova prevista per il processo penale in quello civile, la Cassazione, dopo aver corretto la motivazione della sentenza d'appello sul punto, chiarisce che sul diritto alla privacy del soggetto prevale "il trattamento dei dati personali qualora - effettuato per ragioni di giustizia - per tale intendendosi i trattamenti di dati personali direttamente correlati alla trattazione giudiziaria di affari e controversie (art. 47 Dlgs n. 196/2003 nel testo anteriore alla abrogazione disposta con il dlgs n. 101/2018.)"

Anche il regolamento europeo n. 679/2016 ammette una deroga al limite della privacy e al trattamento dei dati personali se è necessario "accertare, esercitare o difendere un diritto in sede giudiziaria o ogniqualvolta le autorità giurisdizionali esercitino le loro funzioni giurisdizionali."La Corte d'Appello quindi non ha violato la disciplina sulla utilizzabilità dei dati personali in quanto nell'ambito di un processo, la titolarità del trattamento spetta all'autorità giudiziaria.

Infondata pertanto la contestazione sull'acquisizione dei vetrini con i campioni biologici presso le Aziende ospedaliere relativi all'ago aspirato polmonare e al washing bronchiale, che secondo il ricorrente, una volta cessato il trattamento "avrebbero dovuto essere distrutti, e non potevano essere ceduti dalle strutture sanitarie."

La norma del Codice privacy che prevede la distruzione dei dati deve essere letta infatti in modo sistematico, con altre disposizioni, tra le quali assume particolare importanza l'art. 22, comma 5.
Dalla lettura coordinata emerge che la conservazione dei dati personali, compreso quindi il vetrino che contiene il campione biologico con le indicazioni idonee a identificare il soggetto a cui appartiene, è giustificata nel momento in cui emergono finalità istituzionali dell'ente pubblico, come nel caso di specie, ossia l'impiego giudiziario dei dati biologici. Disposizioni che trovano conferma anche nel regolamento europeo 679/2016.

La consegna dei vetrini da parte delle aziende ospedaliere in sostanza deve qualificarsi come adempimento alle prescrizioni contenute nel provvedimento giudiziario che ha conferito l'incarico al Ctu di acquisire anche "informazioni" presso terzi ai sensi dell'art. 194 c.p.c.

Infondato per la Cassazione anche il quarto motivo del ricorso. Questo perché le linee guida del Garante privacy legittimano il Ctu a trattare i dati personali, nei limiti in cui è necessario per adempiere in modo corretto l'incarico, seppur con i confini previsti per tutelare la riservatezza. Esso inoltre, può ricorrere liberamente a collaboratori ed esperti, nei cui confronti valgono le stesse regole previste per il Ctu, che richiedono l'osservanza scrupolosa della riservatezza dei dati di cui vengono a conoscenza. Regole che il Ctu incaricato ha rispettato, non essendo possibile verificare, per quanto riguarda la delega di alcune attività peritali, le omissioni in cui lo stesso, stando alla versione del ricorrente, è incorso.

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