Per il CNF, imprecare in un sms indirizzato a una cliente può avere rilievo disciplinare se lede la dignità dell'avvocatura ed è collegato al rapporto professionale

di Annamaria Villafrate - Con la sentenza n. 67/2019 (sotto allegata) il CNF chiarisce che, se un avvocato impreca in un messaggio indirizzato a una cliente, può andare incontro a conseguenze disciplinari solo se tale condotta risulta lesiva della dignità dell'intera avvocatura e se avviene nell'ambito del rapporto professionale. In questo caso però è emerso che gli sms, giudicati dalla cliente molesti a posteriori, non avessero in realtà un contenuto fastidioso od opprimente. La cliente inoltre non si è mai opposta o chiarito la propria posizione di rifiuto nei confronti delle frasi a lei indirizzate dal professionista. Da qui l'accoglimento del ricorso dell'avvocato, condannato dal COA di appartenenza alla sospensione dalla professione per sei mesi.

L'esposto della cliente per molestie

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Una donna presenta una denuncia querela alla Procura di Perugia e un esposto al COA locale nei confronti di un avvocato. Il Consiglio apre nei confronti dell'iscritto un procedimento disciplinare per le seguenti ragioni:

  • non aver adempiuto al mandato difensivo conferitogli;
  • aver trattenuto somme destinate alla sua cliente;
  • non avere restituito i documenti alla legittima destinataria dopo la revoca dell'incarico;
  • aver "molestato telefonicamente e tramite sms la cliente inviando comunicazioni del seguente tenore: "non so perché ma pensavo alle tue labbra ... fai fai ti aspetto in trepidante attesa … volevo dirti una cosa: io ti credo una donna non banale; non scontata; sempre interessante; se vuoi e se sei libera vorrei averti per pranzo e ti aspetto a studio alle 12,45. Se non ti sento resterò il tuo avvocato. P.S: come donna mi piaci da morire come persona credo che valga la pena di conoscerti meglio" ... "porca … ti chiamo io."

Il tutto in violazione degli artt. 5 (doveri di probità e dignità), 6 (doveri di lealtà e correttezza), 8 (doveri di diligenza), 38 (inadempimento al mandato), 41 (gestione di danaro altrui), 42 (restituzione di documenti), 43 (richieste di pagamento) del Codice Deontologico Forense.

Per il COA l'avvocato va sospeso

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L'incolpato deposita memoria difensiva dove espone la sua versione dei fatti e in cui fa presente la sua impossibilità a comparire alla prima udienza. L'avvocato non compare neppure alla seconda udienza, ma fa pervenire istanza in cui chiede la sospensione del procedimento disciplinare stante la pendenza di quello penale nei suoi confronti. La cliente invece conferma la propria versione dei fatti contenuta nell'esposto.

Il COA, ritenendo provata la versione dei fatti esposta dalla cliente, compreso il contenuto degli sms contestati, respinge le difese dell'avvocato e dispone la sospensione disciplinare di sei mesi stante l'accertata violazione degli artt. 5, 6, 8, 38, 41, 42 e 43 del Codice Deontologico Forense.

Il ricorso al CNF dell'avvocato

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L'avvocato si oppone alla decisione del COA di appartenenza impugnando la decisione di fronte al CNF contestando il provvedimento di sospensione stante:

  • il difetto di competenza del COA a favore del consiglio distrettuale di disciplina;
  • la mancata ammissione di un teste;
  • l'errore del COA nel ritenere che la mancata iscrizione della causa a ruolo fosse imputabile a lui, mentre è stata la cliente a decidere in tale senso;
  • il fatto che le somme trattenute non sarebbero che la somma dell'importo liquidato dall'assicurazione e le spese vive per notifica e iscrizione a ruolo.

Per quanto riguarda infine in le frasi riportate nel capo d) di incolpazione, fa presente che "il primo messaggio fu inviato per errore al quale fecero seguito immediate scuse, mentre "l'imprecazione" derivò dalla esasperazione per le continue telefonate della esponente (circa 10 al giorno) riconducibili a problematiche estranee al rapporto professionale conferitogli; tale situazione legittimerebbe la richiesta formulata in sede penale di acquisire agli atti l'intero traffico telefonico."

Il professionista chiede quindi la sospensione del procedimento disciplinare stante la pendenza di quello penale e deposita note difensive in cui lamenta come la decisione del COA sia frutto di una valutazione superficiale e frettolosa che non ha tenuto conto di alcune testimonianze chiave.

In sede dibattimentale dichiara infine di rinunciare all'eccezione con cui ha fatto valere il difetto di competenza del COA e invoca la decisione alla luce dei documenti acquisiti agli atti, insistendo in subordine per l'ammissione di un teste.

Imprecare ha rilievo disciplinare se lede la dignità dell'avvocatura

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Il CNF accoglie il ricorso, annullando l'impugnata deliberazione con sentenza n. 67/2019 per le ragioni che si vanno a illustrare.

Prima di tutto il CNF fa presente come in effetti la decisione del COA sia fondata esclusivamente sulle dichiarazioni della cliente, mentre secondo la sua giurisprudenza costante: "i fatti denunciati dall'esponente non sono, da soli, sufficienti a fondare la responsabilità disciplinare dell'avvocato, che può essere affermata solo a seguito di puntuali riscontri probatori."

Potendo poi il CNF valutare i fatti anche nel merito rileva come dalla testimonianza acquisita agli atti è emerso che è stata l'esponente "ad affermare che non intendeva proseguire nella causa in quanto priva di sufficienti risorse economiche e che, al termine del colloquio si sarebbe allontanata sbattendo la porta", prova che fa cadere le accuse di responsabilità mosse nei confronti dell'avvocato per quanto riguarda la mancata iscrizione a ruolo e la restituzione dei documenti

Inoltre, per quanto riguarda l'accusa di aver trattenuto indebitamente le somme corrisposte dall'assicurazione, le dichiarazioni dell'esponente contraddicono quanto riferito dalla cassiera della banca, la quale ha riferito l'assenza di tensione tra avvocato e cliente.

Passando infine all'esame della molestia telefonica lamentata dalla cliente il CNF rileva come:"E' indubbio che il rapporto avesse superato i limiti del mandato professionale, ma risulta anche evidente come, dapprima, agli inviti dell'uno si sovrapponessero quelli dell'altra e come alle manifestazioni di affetto dell'uno non si sia mai contrapposto un rifiuto od un chiarimento da parte della esponente. Poi il "feeling" è venuto meno ed i reiterati messaggi della [ESPONENTE], a distanza di un minuto uno dall'altro, hanno portato il ricorrente alla imprecazione del 28 agosto ore 18,45; comportamento sicuramente deprecabile, ma che non risulta rilevante sotto il profilo deontologico, in quanto, non solo estraneo al rapporto professionale, ma, inquadrato nel contesto, frutto di una irritazione momentanea e personale nei confronti della persona che aveva catturato il suo affetto, chiaramente manifestato. E' da ritenere pertanto che nessun degrado o pregiudizio sia derivato alla dignità dell'avvocatura da tale manifestazione di intolleranza.

Si potrebbe rimarcare la inopportunità che l'avvocato consenta al rapporto professionale con la cliente di scivolare in un diverso rapporto decisamente personale, ma dagli scambi di messaggi allegati dalla esponente alla propria querela, non traspare alcuna molestia od oppressione da parte dell'avvocato, il quale manifesta i propri sentimenti, senza peraltro ricevere sdegno o smentite od inviti contrari a coltivare il rapporto, nonostante la china sulla quale stava od era scivolato (se mai, ed al contrario, l'invito ad un aperitivo nel locale indicato dalla esponente)."

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Scsrica pdf Cnf sentenza n. 67-2019

Foto: 123rf.com
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