Il caso della brigatista Saraceni che da agosto percepisce il reddito di cittadinanza fa discutere, la realtà è che serve una soluzione normativa

di Annamaria Villafrate - Da quando "La Verità" ha diffuso la notizia che la brigatista Federica Saraceni, condannata per l'omicidio di Massimo D'Antona, da agosto percepisce il reddito di cittadinanza, infuriano le polemiche. Alcune sterili, altre decisamente più costruttive, finalizzate a trovare una soluzione, non solo per il caso Saraceni, ma per quanti si sono macchiati di reati gravi nei confronti dello Stato e che, se da un lato, come fanno notare certi esponenti politici, non meritano aiuti, dall'altro, come osserva il padre della brigatista, l'ex parlamentare ed ex magistrato Luigi Saraceni, non possono essere gettati nella discarica se non gli si offre la possibilità di lavorare.

Nel frattempo la Ministra del Lavoro Catalfo è già al lavoro per organizzare un tavolo tecnico con l'Inps e il Ministro della Giustizia, con l'obiettivo di dare una risposta normativa al problema.

La brigatista Saraceni e il RdC

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Fa discutere e solleva molti interrogativi il caso di Federica Saraceni, la brigatista condannata per l'omicidio di Massimo D'Antona, oggi ancora ai domiciliari, che da agosto scorso percepisce il reddito di cittadinanza. Una misura di sostegno al reddito che, stando ad alcuni, non dovrebbe essere assegnata a chi ha attaccato lo Stato. Fonte della notizia "La Verità" che in un altro articolo scrive "Spuntano nuovi nomi, oltre alla brigatista Federica Saraceni, che prende 623 euro al mese: Massimiliano Gaeta ne incassa 500, mentre Raimondo Etro, che organizzò il sequestro Moro, ha ottenuto il massimo: 780 euro".

Cosa dice la norma

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A chiarire che il reddito di cittadinanza riconosciuto alla Saraceni è legittimo è il Presidente dell'Inps pasquale Tridico il quale afferma: "I requisiti che competono all'Inps ci sono. La norma prevede che se una persona ha avuto una condanna nei 10 anni precedenti c'è il blocco; lei l'ha avuta 12 anni fa. Basta leggere la legge'. Tutto regolare quindi dal punto di vista giuridico.

Diverso il giudizio morale espresso sulla vicenda.

Come riporta Adnkronos, queste le parole di Tridico: "Metterei una norma assoluta per cui chi ha commesso atti di questo tipo non dovrebbe avere diritto a nessun tipo di sostegno … ma paradossalmente oggi se l'istituto non desse il reddito a chi ha i requisiti per riceverlo potrebbe essere chiamato a rispondere in una controversia per danni".

Le polemiche

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La prima a sentirsi offesa dalla vicenda è Olga D'Antona, moglie di Massimo D'Antona, che a Radio Capital dichiara "Ho provato un grande senso di ingiustizia. Non sempre quello che è legale è giusto. L'ingiustizia non la subisco io, ma la subiscono tutti i cittadini. La norma va rivista".

Sulla stessa linea di pensiero anche i capigruppo della Lega Massimiliano Romeo e Riccardo Molinari, che affermano: "Il reddito di cittadinanza all'ex brigatista Federica Saraceni, condannata per l'omicidio di Massimo D'Antona, è un insulto intollerabile per i parenti della vittima e per tutte le persone perbene. La Lega non parteciperà a nessun lavoro d'aula e di commissione finché il governo non spiegherà questo scandalo e quest'ingiustizia sarà sanata."

Davide Faraone, presidente dei senatori di di Italia Viva contesta le parole di Romeo e Molinari, ricordando che "queste regole sono state votate dal precedente governo, sostenuto dalla Lega, e tra l'altro modificate dalla maggioranza alla camera nel marzo 2018, infine, sono state votate, sia alla Camera che al Senato, anche da Molinari e Romeo."

Nessuna difesa o attenuante neppure per il Pd, visto che, come ricorda il padre della brigatista, la figlia, prima di percepire il reddito di cittadinanza, percepiva già il Rei, ossia il reddito di inclusione ideato dalla ex ministra Madia, introdotto dal Governo Renzi e confermato successivamente anche dal Governo Gentiloni.

Soluzioni possibili

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Al momento non ci sono soluzioni pronte per risolvere la questione, che è allo studio anche da parte della Ministra del Lavoro Nunzia Catalfo. Merita di essere approfondita in particolare la compatibilità delle attività lavorative previste dalla legge sul reddito di cittadinanza con la misura di detenzione domiciliare speciale a cui è sottoposta la Saraceni.L'impegno della Ministra in realtà è più ampio. Il suo intento è di dare una risposta normativa a questo e a casi similari, che potrebbero verificarsi, dando vita a un tavolo di lavoro con l'Inps e il Ministro della Giustizia.

Nel frattempo il giuslavorista Pessi, ad Adnkronos, suggerisce un'altra soluzione al problema. Tenendo conto del fatto che la Saraceni si trova agli arresti domiciliari, il suo avvocato potrebbe consigliarle di firmare il patto per il lavoro, chiedendo di poter svolgere la sua attività in modalità telelavoro. La norma infatti, così come concepita è lacunosa, se si dovesse mettere mano alla norma, suggerisce ancora Pessi, sarebbe necessario occuparsi di tutti coloro che hanno commesso reati gravi e che, trovandosi in carcere o agli arresti domiciliari, hanno oggettive difficoltà lavorative.

Una soluzione che deve essere trovata, come osserva giustamente il padre della Saraceni, il quale pone il seguente interrogativo: "Una persona che è stata condannata a una lunga pena, che l'ha scontata quasi tutta, che non ha un reddito, cosa ne facciamo? La buttiamo nella discarica? Le diciamo vai a fare la prostituta o le rapine? Oppure ce ne prendiamo carico?".


Foto: blog delle stelle
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