In passato ci si lamentava del "padre assente", padre esistente fisicamente ma che era sempre fuori casa (per lavoro e/o suoi interessi) e non esercitava alcun ruolo educativo oppure in caso di figli nati fuori dal matrimonio non li riconosceva o in caso di separazione/divorzio era inadempiente nel mantenimento dei figli. Attualmente, invece, si tende a parlare di evaporazione del padre (espressione usata dallo psicoanalista Massimo Recalcati e altri), ovvero annebbiamento o annullamento della figura paterna, situazione concausata da molti fattori, tra cui la maternalizzazione dilagante della relazione con i figli e dell'educazione (anche scolastica), la legislazione che ha eliminato quasi interamente ogni riferimento al padre e la giurisprudenza che ha dato un'interpretazione fino a qualche anno fa pressoché unilaterale a favore della madre. Non ci si deve battere giuridicamente e giudiziariamente soltanto per l'accertamento della paternità o per la rivendicazione del mantenimento, perché il padre è un patrimonio non solo nel senso di diritti patrimoniali, ma anche e soprattutto di diritti relazionali.
Prima la figura paterna era "mummificata", oggi è "mammificata".
La figura paterna - ancor più di quella materna - non deve essere chiusa entro cliché, ma può tener conto della locuzione "ricerca della paternità" di cui all'art. 30 comma 4 Costituzione. Il padre è datore e latore (da non intendersi nel senso di donatore della banca del seme) del liquido seminale che prende l'avvio liberamente e dà la vita a quel figlio che avrà la sua singolarità cui rispondere e corrispondere: così la paternità è quel dare vita e libertà al figlio mantenendo anche il giusto distacco, osservando quello che fa e anche come interagisce con la figura materna. Le lotte di madri e figli per il riconoscimento della paternità attestano che la paternità è attribuzione di diritti (e, quindi, doveri), di rete parentale, di identità sociale ed è quanto dovrebbe fare un padre pure mediante il suo intervento educativo. Non c'è "il padre", ma "il padre di".
"[…] un buon padre non è quello che risolve i problemi dei figli, ma quello che insegna ai figli a risolvere i problemi. […] Se non riceviamo fiducia, non avremo fiducia, se non abbiamo qualcuno che ci dica che ce la possiamo fare, non ce la faremo. Questa fiducia proviene dalla paternità perché, ripetiamo, si cresce dalla fiducia paterna. Alcuni padri scuotevano la testa dicendo: «Tu non ce la puoi fare». La conseguenza è che i figli non hanno avuto confidenza. Se invece un padre dice a un bambino: «Dai, vedrai che lo fai», la conseguenza è la fiducia di potercela fare e si sfoderano le proprie qualità, si diventa capaci di tirar fuori il meglio di sé" (don Fabio Rosini). La vitalità, la propulsività, l'energia della paternità è già insita nella fisiologia dell'organo genitale maschile, nel liquido seminale e negli spermatozoi. Il padre deve esplicare questa forza positiva e vitale e gli si deve consentire di esplicarla.
"La ferita inferta dal padre riguarda esattamente questo - precisa lo psicologo e psicoterapeuta Osvaldo Poli -: costringe il figlio a smettere di pensare la vita in termini infantili, quasi fosse un paradiso terrestre dove tutto è facile, senza fatica, dove nulla è richiesto per poter vivere e per avere un buon rapporto con gli altri. Anche i figli infatti debbono amare i genitori, accettando le condizioni che rendono possibile un rapporto ispirato a tale sentimento. Il padre chiede al figlio di "sacrificare" il modo infantile di affrontare la vita, rinunciando alle condizioni favorevoli o poco impegnative garantite sin a quel momento dalla famiglia e dalla mamma in particolare. Egli intende dire al figlio: renditi conto che la vita non dà tutto senza chiedere niente, non tutto il mondo "gira intorno a te" al solo scopo di renderti felice, e non puoi pensare che gli aspetti difficili e impegnativi semplicemente "non esistano", o che qualcun altro si debba sentire incaricato di rimuoverli"[1]. Se nell'adempimento delle obbligazioni si deve usare la diligenza del buon padre di famiglia (art. 1176 cod. civ.), a maggior ragione nell'educazione si deve consentire al padre di poter esercitare la paternità con peculiarità differenti dalla maternità, quelle differenze necessarie per la crescita dei figli (perché crescere è "andare formandosi").
"La paternità dal punto di vista educativo va costruita ma, soprattutto, sono i padri che devono credere nel loro ruolo, complementare a quello della madre e orientato sui doveri propri, sui diritti nostri e sulla solidarietà, vissuta sia dai padri sia dai figli" (don Antonio Mazzi, formatore). Nell'esercitare i diritti e nell'adempiere i doveri che derivano dalla paternità, il padre deve usare la diligenza del buon padre di famiglia (mutuando la terminologia codicistica), ovvero deve soprattutto mediare anche tra i figli e la madre e pure nella formazione della personalità delle figlie femmine.
Lo psicoanalista Luigi Zoja chiosa: "Se la maternità è un ruolo più biologico, quello della paternità è invece culturale, che fiorisce nella nostra storia evolutiva, portando il maschio a distanziarsi dall'aggressività istintiva per diventare, appunto, padre. Dalle pagine dei poemi omerici (in particolare la figura di Ettore [eroe che rivela le sue fragilità, padre e marito combattuto, considerato il prototipo di padre anche da Vittorino Andreoli]) e dall'Eneide emerge l'intrinseco e forse insuperabile paradosso che costituisce l'essere padre: chiamato a prendersi cura dei figli e della famiglia, ma al tempo stesso a farsi valere nel mondo esterno. Con la Riforma e le Rivoluzioni l'autorità paterna viene progressivamente messa in discussione creando un vuoto tuttora non colmato. Se il padre è la polarità luminosa del maschio, resta latente in lui la polarità opposta, quella del ritorno all'istintualità aggressiva e predatoria, in cui l'uomo annulla secoli di civiltà per indossare di nuovo i panni del guerriero e la violenza e il branco sono il suo unico linguaggio. Gli episodi di stupro individuale o di gruppo delle cronache e i genocidi del XX secolo sono il risultato di una negazione della paternità in nome del regresso alla barbarie primitiva"[2]. La previsione costituzionale di "ricerca della paternità" è sempre attuale, si fa attuale e rimane tale, come esigenza sia per la singola persona sia per l'intera comunità. In tal senso i vari interventi legislativi, tra cui l'articolo 4, comma 24, lettera a), legge 28 giugno 2012, n. 92 che recita: "Al fine di sostenere la genitorialità, promuovendo una cultura di maggiore condivisione dei compiti di cura dei figli all'interno della coppia e per favorire la conciliazione dei tempi di vita e di lavoro, in via sperimentale per gli anni 2013-2015: a) il padre lavoratore dipendente, entro i cinque mesi dalla nascita del figlio, ha l'obbligo di astenersi dal lavoro per un periodo di un giorno. Entro il medesimo periodo, il padre lavoratore dipendente può astenersi per un ulteriore periodo di due giorni, anche continuativi, previo accordo con la madre e in sua sostituzione in relazione al periodo di astensione obbligatoria spettante a quest'ultima". Successivamente il congedo è stato modificato nella disciplina ed esteso anche ai casi di adozione/affidamento. Il congedo parentale concesso al padre serve non (o non solo) per aiutare la madre ma per vivere la paternità e costituire e costruire la genitorialità, la dimensione di maternità e paternità responsabile, locuzione usata per la prima volta nell'art. 1 della L. 405/1975 sull'istituzione dei consultori familiari.
Su maternità e paternità lo psicoanalista Massimo Recalcati aggiunge: "Madre è il nome della cura, della presenza, del desiderio che sa rendere unica e insostituibile la vita di un figlio. Madre è il nome di una cura che sa ospitare la vita, darle valore, sottrarla all'insignificanza. Padre è il simbolo della Legge, custodisce il senso virtuoso e non repressivo del limite. Senza senso del limite non c'è senso del desiderio. È il grande problema del nostro tempo. Il tramonto del padre ha spento il desiderio. Senza Legge il desiderio diventa solo capriccio, puro arbitrio". Padre e madre, padre con madre. Quella dualità e dialogica richiamata anche dal pedagogista Daniele Novara: "Nell'educazione ci vogliono più dialogo tra i genitori, anziché con i figli, e metodo e non minacce che comportano ricatti educativi". Le linee educative da seguire nei confronti dei figli fanno parte dell'indirizzo della vita familiare, di cui all'art. 144 cod. civ., per maturare nell'essere coppia genitoriale e per continuare a essere coppia genitoriale anche oltre la coppia coniugale. Nella genitorialità occorrono la paternità e la maternità, come nella società è necessario il binomio diritto e giustizia. Sono imprescindibili l'autorità e l'equità, la fermezza e l'accoglienza, i punti di riferimento e l'andare incontro. Due linguaggi di una stessa lingua: l'amore genitoriale.
Padre: quante forme di paternità e di orfanità! Chi cresce con la gioia del calore di un abbraccio - seppure "monco" (perché padre disabile o ostacolato o in altra condizione di disagio) - di un padre affettuoso e presente e chi cresce monco dell'abbraccio di un padre spartano e anaffettivo. Un padre non è solo un datore di spermatozoo o del cognome ma è il "la", il "diapason" e il "metronomo" del concerto della vita di un figlio.
[1] O. Poli in "Cuore di papà. Il modo maschile di educare", San Paolo Edizioni 2008
[2] Il pensiero dello psicoanalista Luigi Zoja espresso nelle interviste e nei suoi libri, in particolare "Il gesto di Ettore. Preistoria, storia, attualità e scomparsa del padre", ed. Bollati Boringhieri, Torino 2016
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