Analisi delle fattispecie tipologiche delle decisioni della Corte costituzionale in base al risultato del giudizio, al ragionamento e all'efficacia incisoria

Guida diritto costituzionale

di Luca Passarini - La giurisprudenza costituzionale negli anni si è fatta sempre più nutrita e oggi i giudizi pronunciati dalla Corte costituzionale in sede di giudizio di legittimità costituzionale (in via incidentale o in via principale qui non distingue) si possono esaminare in base alla effettiva portata della pronuncia, che non si limita più ad accogliere o rigettare il ricorso presentatole, applicando l'assodato principio della corrispondenza tra chiesto e pronunciato, ma molto spesso interviene direttamente interpretando o modificando il testo della disposizione oggetto del sindacato.

Decisioni della Consulta: sentenza o ordinanza

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La decisione della Corte costituzionale può assumere due forme.

Nel primo caso se si tratta di un giudizio definitivo la pronuncia assumerà la veste della sentenza essa avrà effetti generali non solo per il futuro, ma presenterà anche una efficacia retroattiva per i rapporti giuridici ancora pendenti con esclusione dei soli rapporti esauriti (è il caso allora della decadenza, della prescrizione e delle sentenze passate in giudicato).

Negli altri casi in cui la Corte non assume una decisione definitiva, ma si limita a valutare senza entrare nel merito della questione utilizzerà la forma dell'ordinanza (è il caso della ordinanza di rimessione che dispone la restituzione degli atti al giudice a quo ovvero delle ordinanze di manifesta inammissibilità per carenza di un requisito necessario o procedurale o ancora per le ordinanze di manifesta infondatezza.

Un esempio per tutti è: " P.Q.M. LA CORTE COSTITUZIONALE dichiara inammissibili gli interventi spiegati dai soggetti indicati in motivazione nei giudizi di legittimità costituzionale...").

Sentenze di accoglimento e sentenze di rigetto

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Le decisioni di merito si è detto che risolvono la questione sollevata di fronte alla Corte. In base al risultato del giudizio si possono avere sentenze di accoglimento che evidenziano come la questione di costituzionalità sia fondata e la Corte si pronuncia allora per l'illegittimità costituzionale della disposizione impugnata (es. "P.Q.M. LA CORTE COSTITUZIONALE dichiara l'illegittimità costituzionale dell'art…")

All'opposto si avranno le sentenze di rigetto che invece dichiarano infondata la questione di legittimità sollevata sulla disposizione impugnata (es. P.Q.M. LA CORTE COSTITUZIONALE dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale degli artt. ... sollevata, in riferimento agli artt. … dal Tribunale di ..., con l'ordinanza in epigrafe.").

Sentenze interpretative

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In base al ragionamento compiuto dalla Corte le sentenze di merito appena considerate possono esprimere una certa interpretazione anche discostandosi dalla questione iniziale: il giudice delle leggi è cioè libero di variare il thema decidendum. Si tratta delle sentenze interpretative di accoglimento e delle sentenze interpretative di rigetto. Nelle prime la Corte dichiarerà l'illegittimità costituzionale della disposizione impugnata in base a un parametro che lei stesso desume, motivandola nel dispositivo (" P.Q.M. LA CORTE COSTITUZIONALE dichiara l'illegittimità costituzionale degli art. ... ove interpretati nel senso che …"); nel secondo caso l'illegittimità costituzionale non viene dichiarata proprio perché la Corte "salva" la disposizione individuando una norma compatibile con il dettato costituzionale, opportunamente motivata ("P.Q.M. LA CORTE COSTITUZIONALE dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell'art. … nella parte in cui prevede che…"). L'illegittimità costituzionale si avrà allora solo allorquando sia impossibile dare un'interpretazione costituzionale della norma esaminata. Con le sentenze interpretative il giudizio sulla norma non incide direttamente sulla disposizione che rimarrà, anche dopo l'intervento della corte, immutata, seppure ampliata nella sua interpretazione.

Sentenze manipolative

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Un caso ancora più incisivo e criticato dalla dottrina si ha con le sentenze manipolative, la cui portata delle decisioni spesso stravolge il dettato normativo della disposizione, innovando l'ordinamento giuridico e riconoscendo al Giudice delle leggi quasi una funzione di (para)legislatore. Si tratta delle sentenze di accoglimento parziale (l'illegittimità costituzionale colpisce solo una parte della disposizione, salvando la restante), sentenze sostitutive (la Corte individua la norma che deve sostituire la disposizione impugnata e porta a una modifica della stessa; è certamente il caso di pronuncia più invasiva), sentenze additive pure (alla disposizione impugnata viene introdotta un'integrazione ritenuta dalla Corte necessaria) o sentenze additive di principio (a differenza delle precedenti qui la Corte si limita ad aggiungere un principio generale ritenuto necessario, ma rinviando al legislatore il compito di colmare la lacuna, pena l'illegittimità consequenziale della stessa).

Per capire la portata dirompente di queste pronunce basta considerare un esempio di sentenza additiva come nel celeberrimo caso della n. 231/2013 (" P.Q.M. LA CORTE COSTITUZIONALE dichiara l'illegittimità costituzionale dell'articolo... nella parte in cui non prevede che …").


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Sentenze monito

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Non troppo dissimili dall'ultima fattispecie analizzata sono le sentenze che la Corte costituzionale rivolge in maniera autorevole direttamente al legislatore (per questo definite sentenze monito) al fine di persuaderlo a compiere modifiche legislative, che si muovano però all'interno dei criteri individuati dalla stessa Corte. Un esempio celebre e molto discusso sono le cosiddette sentenze decalogo.

Esempio ormai di scuola è la Corte cost., sent. 826/1988, che prevede testualmente nel considerato in diritto un monito indirizzato al futuro legislatore: "di conseguenza, la futura legge non potrà non contenere limiti e cautele finalizzati ad impedire la formazione di posizioni dominanti lesive del predetto valore costituzionale".

La straordinarietà dell'ordinanza nel caso Cappato

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Considerando necessariamente i fatti più recenti, la straordinarietà dell'ordinanza della Corte costituzionale nel caso Cappato, assurto alla cronaca politica e al dibattito sul fine vita, evidenzia come la necessità della Corte sia sempre quella di bilanciare da una parte il sindacato sulle leggi e gli atti aventi forza di legge e dall'altra quella di evitare un'interferenza troppo pregnante, che porterebbe a considerare la Corte costituzionale come un legislatore negativo, capace di legiferare qualora sia lo stesso Parlamento incapace.

Nell'ordinanza di specie si invita il Parlamento (questa volta non mediante sentenza monito, ma attraverso quello strumento che si è visto che non porta a una decisione definitiva) a intervenire con un'appropriata disciplina, rinviando di un anno la trattazione della questione di costituzionalità dell'articolo 580 codice penale.


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Luca Passarini

Studente di Giurisprudenza all'Università di Bologna

lucapassarini19@gmail.com


Foto: 123rf.com
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