Per la Cassazione il ritardo nel versare l'assegno di mantenimento non scrimina le molestie della ex che quotidianamente si reca allo studio del compagno accusandolo di non prendersi cura dei figli

di Lucia Izzo - Nonostante la comprensibile rabbia della madre provocata dal ritardo con cui il padre versa l'assegno di mantenimento per i loro due figli minori, ciò non può giustificare una costante molestia nei confronti dell'ex perpetrata recandosi quotidianamente nello studio di questi per accusarlo di non prendersi cura della prole.


La circostanza attenuante della provocazione, infatti, non è compatibile con il reato di cui all'art. 660 c.p. perchè non è possibile che lo stato d'ira che insorge al ricorso di un'ingiustizia patita possa reiterarsi a tempo indeterminato e giustificare l'applicabilità della attenuante in questione ad un reato a condotta concretamente abituale.


Lo ha chiarito la Corte di Cassazione, prima sezione Penale, nella sentenza n. 29830/2018 (qui sotto allegata) a seguito del ricorso di una donna condannata per aver commesso la contravvenzione di cui all'art. 660 c.p. (Molestia o disturbo alle persone).


Nel dettaglio, l'imputata aveva recato molestia, per petulanza e per biasimevole motivo, al suo ex compagno, presentandosi con prepotenza presso lo studio ove costui svolgeva la propria professione di fisioterapista e pronunciando, con toni arroganti, anche in presenza di altre persone, parole e frasi dai contenuti inurbani nei suoi confronti, nonché appostandosi nei pressi dello studio ove costui prestava la propria opera e telefonando spesso all'uomo


In particolare, l'atteggiamento della donna era dovuto ai fortissimi contrasti relativi al mantenimento dei due figli minori nati dal loro rapporto di convivenza more uxorio: in occasione delle sue visite presso lo studio dell'ex, infatti, l'imputata lo aveva ripetutamente accusato di non prendersi cura della prole.


In Cassazione, tuttavia, la ricorrente deduce che il motivo dei comportamenti da essa posti in essere non era punto biasimevole, dal momento che l'ex era solito pagare in ritardo il contributo mensile per il mantenimento dei propri figli.

Secondo la difesa dell'imputata il giudice a quo avrebbe dovuto ritenere sussistente la circostanza attenuante della provocazione visto che il suo comportamento, sul quale avevano influite anche le sue precarie condizioni economiche, era stato determinato proprio dal sistematico ritardo del compagno a corrispondere l'assegno mensile.

Molestia o disturbo alla persone: niente attenuate della provocazione per il reato a condotta abituale

Nel respingere il ricorso, gli Ermellini rammentano il consolidato principio secondo cui l'elemento soggettivo del reato consiste nella coscienza e volontà della condotta, tenuta nella consapevolezza della sua idoneità a molestare o disturbare il soggetto passivo, invadendone inopportunamente la propria sfera di libertà, senza che possa rilevare l'eventuale convinzione dell'agente di operare per un fine non biasimevole o addirittura per il ritenuto conseguimento, con modalità non legali, della soddisfazione di un proprio diritto.

Per i giudici, inoltre, non vi è compatibilità fra la circostanza attenuante della provocazione e un reato in concreto a condotta abituale, come quello accertato dalla sentenza impugnata.

Infatti, spiega il provvedimento per quanto lo stato d'ira possa risorgere al ricordo di un'ingiustizia patita e dar luogo ad un comportamento criminoso anche temporalmente da essa distante, deve escludersi che ciò possa reiterarsi a tempo indeterminato e giustificare l'applicabilità della attenuante in questione ad un reato a condotta concretamente abituale, contrassegnato da una serie di comportamenti antigiuridici di analoga natura che si ripetono e si replicano nel tempo.

In tal caso, infatti, quella che si vorrebbe prospettare come una reazione emotiva ad un fatto ingiusto si presenta, in realtà, come espressione di un proposito di rivalsa e di vendetta, dall'ordinamento in alcun modo tutelato.

Cass., I pen., sent. n. 29830/2018

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