Legittimo, o meno, il licenziamento per gravi violazioni della privacy? Agli albori di un contrasto giurisprudenziale

Avv. Paolo Accoti - La registrazione di conversazioni tra presenti all'insaputa dei partecipanti al colloquio, rappresenta una grave violazione del diritto alla riservatezza e, in quanto tale, legittima il licenziamento del dipendente.

Questo il principio espresso nell'ordinanza n. 11999 della Corte di Cassazione, Sezione Lavoro, relatore dott.ssa E. Boghetich, depositata in data 16 Maggio 2018.

La vicenda giudiziaria

La ditta datrice di lavoro licenziava un proprio dipendente reo di avere, in maniera occulta, registrato una conversazione telefonica tra il proprio superiore gerarchico ed un collega di lavoro, nonché una riunione aziendale, con palese violazione dei principi di buona fede e correttezza.

A seguito dell'impugnativa del provvedimento espulsivo, il Tribunale di Chieti rigettava la domanda, con provvedimento sostanzialmente confermato dalla Corte d'Appello di L'Aquila, a cui si era nelle more rivolto il lavoratore licenziato, con diversa liquidazione delle spese di giudizio di primo grado.

Propone ricorso per cassazione il dipendente, il quale deduce, tra le altre cose, l'omessa analisi di alcuni fatti e la valutazione di scriminante (in quanto esercizio del diritto di difesa) del comportamento del lavoratore, a fronte della condotta ingiuriosa tenuta dal superiore gerarchico durante una conversazione telefonica, oltre che in una riunione aziendale.

Le motivazioni della Corte di Cassazione

Il Giudice di legittimità ricorda come il sindacato sulla valutazione delle risultanze probatorie dei giudizi di merito, alla luce del novellato art. 360, comma I, n. 5) Cpc, secondo l'interpretazione fornita dalle Sezioni Unite (n. 8053/2014), risulta possibile soltanto qualora manchi del tutto la motivazione ovvero quando questa pur esistendo formalmente come parte del documento risulti, tuttavia, così contraddittoria da non permettere di comprenderla.

Nel caso di specie, continua la Suprema Corte, il giudice di merito con un ragionamento immune da vizi logico-formali, ha dato atto del <<sostanziale disinteresse del lavoratore al rispetto dei doveri di riservatezza connessi all'obbligo di fedeltà e dei principi generali di correttezza e buona fede e, pertanto, di una grave violazione del diritto di riservatezza dei colleghi>>.

Con riferimento alla condotta tenuta dal lavoratore e, in particolare, alla registrazioni effettuate "di nascosto", <<questa Corte ha già affermato che la registrazione di conversazioni tra presenti all'insaputa dei conversanti configura una grave violazione del diritto alla riservatezza, con conseguente legittimità del licenziamento intimato (Cass. n. 26143 del 2013, Cass. n. 16629 del 2016)>>.

Conseguentemente, la Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, oltre al versamento dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.

I precedenti giurisprudenziali

Vi è da segnalare, tuttavia, come tale orientamento non sia affatto pacifico nella giurisprudenza di legittimità.

A tal proposito, infatti, si ricorda il recente precedente della medesima Sezione Lavoro, rappresentato dall'ordinanza n. 11322, depositata il 10 Maggio 2018, relatore dott.ssa C. Marotta, con la quale è stata ritenuto illegittimo il licenziamento disciplinare del dipendente che, all'insaputa dei colleghi, ha effettuato delle registrazioni, anche video, delle conversazioni dagli stessi effettuate in orario di lavoro e sul posto di lavoro.

In particolare, in quella ordinanza la Suprema Corte spiega - con un ragionamento articolato - che tale condotta risulta legittima quando non esula dalle finalità perseguite dal dipendente, vale a dire il legittimo esercizio di un diritto.

In tali casi, infatti, risulta applicabile la deroga portata dal D.Lgs. 196/2003, atteso che <<l'art. 24, co. 1, lettera f), è volto a far valere o difendere un diritto in sede giudiziaria o per svolgere le investigazioni difensive previste dalla legge n. 397/2000, e ciò a condizione che i dati siano trattati esclusivamente per tali finalità e per il periodo strettamente necessario al loro perseguimento.>>, come peraltro chiarito dalla <<giurisprudenza di questa Corte che ha costantemente sottolineato, in termini generali, come la rigida previsione del consenso del titolare dei dati personali subisca "deroghe ed eccezioni quando si tratti di far valere in giudizio il diritto di difesa, le cui modalità di attuazione risultano disciplinate dal codice di rito" (Cass., Sez. U., 8 febbraio 2011, n. 3034).>>.

Le registrazioni vocali, rientrano nel "genere" delle riproduzioni meccaniche, ex art. 2712 Cc, che, in quanto tali, risultano utilizzabili nel processo civile del lavoro così come in quello penale, tanto è vero che <<si è ritenuto (v. Cass. 29 dicembre 2014, n. 27424 ed i richiami in essa contenuti a Cass. 22 aprile 2010, n. 9526 ed a Cass. 14 novembre 2008, n. 27157), alla luce della giurisprudenza delle Sezioni penali di questa S.C., che la registrazione fonografica di un colloquio, svoltosi tra presenti o mediante strumenti di trasmissione, ad opera di un soggetto che ne sia partecipe, è prova documentale utilizzabile quantunque effettuata dietro suggerimento o su incarico della polizia giudiziaria, trattandosi, in ogni caso, di registrazione operata da persona protagonista della conversazione, estranea agli apparati investigativi e legittimata a rendere testimonianza nel processo (espressamente in tal senso v. Cass. pen. n. 31342/11; Cass. pen. n. 16986/09; Cass. pen. n. 14829/09; Cass. pen. n. 12189/05; Cass. pen., Sez. U., n.36747/03).>>.

In conclusione, stante l'esistenza di orientamenti giurisprudenziali diametralmente opposti, risulterà dirimente l'auspicabile ulteriore intervento delle Sezioni Unite, al fine di chiarire definitivamente l'effettiva portata delle registrazioni occulte, la loro legittimità e l'utilizzabilità delle stesse nell'ambito dei procedimenti giudiziari.

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