I dubbi sull'opportunità dell'applicazione dei limiti orari previsti dall'art. 147 c.p.c. anche alle notifiche telematiche, in attesa della pronuncia della Corte Costituzionale
Avv. Marco Sicolo - Correva l'anno 1994, quando il legislatore autorizzò gli avvocati, nel rispetto di determinate condizioni, a operare in proprio l'attività di notificazione degli atti. Si trattava di una soluzione adatta a snellire un'importante fase procedimentale e ad alleviare il carico di lavoro degli oberati ufficiali giudiziari.

Successivamente, in piena era di promozione e diffusione del processo civile telematico, la facoltà di notifica da parte del difensore è stata estesa anche al mezzo PEC. In particolare, l'attuale art. 16-septies del D.L. 179/12 precisa che anche le notifiche effettuate con modalità telematiche devono rispettare i limiti orari previsti dall'art. 147 c.p.c.

Questa disposizione, però, ha dato luogo, nel tempo, a incertezze interpretative e dubbi sulla sua opportunità, che cercheremo qui di riassumere, proprio mentre la questione è al vaglio della Corte Costituzionale.

La ratio dell'art. 147 c.p.c.

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Per una corretta analisi del tema, è opportuno partire dal dato normativo e poi cercare di comprenderne lo spirito. Dispone l'art. 147 c.p.c. che "le notificazioni non possono farsi prima delle ore 7 e dopo le ore 21".

La ragione alla base di tale disposizione è semplicemente quella di voler tutelare la quiete del destinatario, impedendo che questi o i suoi familiari vengano disturbati nelle ore serali e notturne, per ricevere la consegna di una raccomandata al proprio domicilio.

Ma se questa è la ratio della norma, allora era veramente opportuno estenderne l'efficacia anche nei confronti di un tipo di notifica essenzialmente diverso, effettuato esclusivamente per via telematica?

È quello che si sono chiesti i giudici della Corte d'Appello di Milano, investendo della questione la Consulta con ordinanza del 16 ottobre 2017.

Il differimento dell'orario previsto dall'art. 16-septies

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Il caso arrivato all'esame dei giudici milanesi non era del tutto nuovo, rispetto ad altre fattispecie, su cui si è già più volte pronunciata anche la Corte di Cassazione.

In particolare, la norma che fa discutere è quella contenuta nel secondo periodo dell'articolo 16-septies sopra citato, secondo cui la notifica effettuata a mezzo PEC dopo le ore 21 si considera perfezionata alle ore 7 del giorno successivo.

Sorvolando, in questa sede, sulla scissione tra il momento in cui si perfeziona la notifica nei confronti del mittente e nei confronti del destinatario (questione rilevante nei casi in cui la PEC sia inviata prima delle ore 21, ma le relative ricevute arrivino dopo tale orario) possiamo concentrarci sul caso in cui l'invio dell'atto da notificare avvenga dopo le ore 21, come accaduto nella fattispecie all'esame della Corte d'Appello di Milano.

I dubbi sulla legittimità costituzionale

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Nel caso specifico, si trattava di una PEC inviata l'ultimo giorno utile per la notifica di una citazione in appello. Applicando la lettera della legge, l'atto di appello risultava notificato alle 7 del giorno successivo, e quindi tardivamente.

Di fronte all'eccezione preliminare che ha evidenziato tale aspetto, la Corte ha ritenuto non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale della norma contenuta nell'art. 16-septies del D.L. 179/12.

In particolare, la Corte Costituzionale dovrà pronunciarsi riguardo alla compatibilità di tale norma con l'art. 3 Cost., in ragione della differente natura del mezzo di notificazione considerato, e con gli artt. 24 e 111 Cost., perché risulterebbe limitato il diritto di difesa dell'avvocato notificatore.

La posizione della Cassazione

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Nelle more dei chiarimenti che arriveranno dalla Consulta, è inevitabile, ad oggi, attenersi alla lettera della normativa in vigore, e considerare tardiva una notifica che venga inviata dopo le ore 21 dell'ultimo giorno utile, stante l'automatico spostamento della sua efficacia (recte, del suo perfezionamento) alle ore 7 del giorno successivo.

In questo senso, del resto, si è già più volte pronunciata la Corte di Cassazione, da ultimo con sentenze nn. 21915/17 e 31209/17 e con ordinanza n. 7079/18.


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