La frode alla legge si realizza quando un contratto detiene una causa illecita che si realizza altresì quando si elude una norma imperativa, intesa quale regola di validità e non di mero comportamento
di Enrico Pattumelli - La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 8499/2018 (sotto allegata), ha avuto modo di ribadire il proprio orientamento circa l'esatto ambito di applicazione dell'art. 1344 c.c. ossia quando un contratto possa definirsi in frode alla legge.

La vicenda

Nella vicenda, su cui la S.C. è stata chiamata a decidere, veniva stipulato un contratto di affitto di azienda, quest'ultima dichiarata fallita e per la quale pendeva il relativo procedimento fallimentare.

L'azienda in questione aveva ottenuto e conseguito delle agevolazioni pubbliche ai sensi di quanto previsto dal d. m. 527/1995.

La Legge 488/1992 prevede altresì che siffatte agevolazioni vengano revocate dal Ministero dello Sviluppo Economico quando le immobilizzazioni materiali o immateriali, la cui realizzazione o acquisizione è stata oggetto dell'agevolazione, vengano distolte dall'uso previsto prima di cinque anni dalla data di entrata in funzione dell'impianto.

Il contratto di affitto di azienda è nullo perché in frode alla legge?

Oppure si tratta di un contratto in frode al terzo, quest'ultimo individuato nel Ministero dello Sviluppo Economico che, così come ha erogato il finanziamento, può anche revocarlo?

La frode alla legge

L'art. 1343 c.c statuisce che la causa del contratto è illecita quando è contraria a norme imperative, ordine pubblico e buon costume.

Il successivo articolo, il 1344, definisce il contratto in frode alla legge e prevede che la causa sia da ritenersi altresì illecita quando il negozio giuridico rappresenta il mezzo per eludere l'applicazione di una norma imperativa.

Si tratta di due norme strettamente connesse, aventi la causa del contratto quale minimo comune denominatore.

Sono state proprio le diverse concezioni elaborate su tale elemento essenziale del contratto che hanno influito sul relativo ambito di applicazione delle succitate norme.

La Cassazione ritiene che un contratto in frode alla legge si realizzi quando viene posto in essere un accordo di per sé lecito ma per perseguire un risultato vietato.

In altri termini, lo strumento è ammesso dalla legge ma viene impiegato per conseguire un fine dalla stessa vietato.

Il presupposto indefettibile è che la causa del negozio risulti essere illecita ossia contraria a norme imperative.

L'orientamento tradizionale della giurisprudenza di legittimità, affermatosi dal 2005, ritiene che la violazione di norme imperative in ambito contrattuale attenga la sola struttura ed il solo oggetto del negozio posto in essere.

Ciò che rileva è dunque la violazione di regole di validità e non anche di regole di comportamento; per queste ultime, infatti, si può riconoscere solo una responsabilità a carico dei contraenti.

Non può sottacersi altresì che non sempre la violazione di norme imperative, nei limiti appena indicati, comporti la nullità virtuale del contratto.

L'art. 1418 co 1 c.c. prevede l'inciso "salvo che la legge non disponga diversamente".

Si desume dunque la possibilità che il legislatore, tenendo conto degli interessi coinvolti, possa prevedere altre conseguenze, diverse dalla nullità, permettendo così al contratto di continuare a produrre i propri effetti.

Frode alla legge: l'applicazione di tali coordinate al caso di specie

Condividendo il percorso logico così ricostruito, in conformità con l'orientamento prevalente, il Supremo Consesso applica tali coordinate al caso di specie.

Risulta che le parti abbiano stipulato un contratto di collaborazione aziendale che la Corte d'appello ha correttamente qualificato come contratto di affitto di azienda ex art. 2565 c.c.

Si tratta di un contratto tipico con causa astrattamente lecita.

Verificando la meritevolezza in concreto, emerge che le parti abbiano violato la normativa vigente in tema di finanziamenti pubblici.

La violazione del divieto di distogliere i beni oggetto dell'erogazione dall'uso previsto, non inficia la validità degli atti negoziali posti in essere e non corrisponde ad un'operazione elusiva per conseguire un risultato vietato.

Emerge l'illiceità del comportamento dei contraenti per il quale il legislatore prevede una precipua sanzione, diversa dalla nullità del contratto.

La condotta viola una norma posta a presidio di un interesse pubblico, a fronte del quale si riconosce il potere del Ministero dello sviluppo economico di revocare i predetti finanziamenti.

Cass. sez. 1, 8499-2018

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