Per la Corte di Cassazione corretto riconoscere l'esborso alla moglie non autosufficiente, poi quantificato tenendo conto implicitamente anche della durata del rapporto

di Lucia Izzo - L'assegno divorzile va riconosciuto alla ex laddove il giudice di merito valuti ed escluda la sua autosufficienza economica stante la sua limitata capacità e possibilità effettiva di lavoro personale e di reddito (non destinata a incrementarsi in futuro). Nei fattori considerati, invece, nella fase di determinazione dell'esborso, corretto il riferimento, seppur implicito, alla durata del matrimonio.

Lo ha chiarito la Corte di Cassazione, sesta sezione civile, nell'ordinanza 7342/2018 (qui sotto allegata), ennesimo provvedimento che si inserisce nel solco tracciato dal revirement giurisprudenziale in materia di assegno divorzile.


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La vicenda

Nella vicenda in esame, l'ex marito si era visto porre a suo carico l'assegno divorzile nei confronti della moglie (pur venendo meno il mantenimento nei confronti della figlia), decisione confermata anche in sede di appello e impugnata in Cassazione.


Tuttavia, gli Ermellini dichiarano inammissibile il ricorso, perché sostanzialmente diretto a contestare la valutazione di merito compiuta dal giudice a quo che, invece, appare conforme a quanto stabilito dalla giurisprudenza di legittimità in materia (sent. 11504/2017).

Niente assegno alla moglie con limitate capacità di reddito

In particolare, la Corte distrettuale ha dapprima (fase dell'an debeatur) accertato la sussistenza o meno del diritto all'assegno a favore della donna con una valutazione conclusasi positivamente. Infatti, i giudici hanno ritenuto inadeguati i mezzi economici a disposizione della ex al fine di consentirle l'indipendenza o autosufficienza economica.


In particolare, si è sottolineata la sua limitata capacità e possibilità effettiva di lavoro personale e di reddito, non destinata a incrementarsi in futuro, la disponibilità di una casa di abitazione e la mancata fruizione di trattamenti pensionistici. Dati emersi dalle allegazioni della donna (gravando l'onere probatorio sulla parte richiedente l'esborso) e dal riscontro delle stesse attraverso accertamenti svolti dalla polizia tributaria nel corso del giudizio.


Riconosciuto il diritto all'assegno, i giudici sono poi passati alla determinazione in concreto della somma (fase del quantum debeatur) tenendo presenti una serie di criteri suggeriti dalla legge e dalla giurisprudenza.


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A tale scopo la Corte ha considerato il reddito mensile a disposizione dell'ex marito, il venir meno dell'obbligo contributivo mensile in favore della figlia, dell'onere su di lui gravante per il pagamento del canone mensile di locazione della sua abitazione, di un contenzioso esistente tra le parti avendo il marito chiesto alla moglie di restituirle la metà delle somme ricavate dalla vendita del'abitazione familiare (destinate all'acquisto, intestato alla madre della donna, dell'appartamento in cui le due vivono insieme), e, implicitamente, della durata del matrimonio (quasi 27 anni al momento della omologazione della separazione consensuale).

Il giudice a quo ha, pertanto, ritenuto congrua la misura in euro 500 mensili dell'assegno divorzile disposto in primo grado al fine di sopperire alla condizione di non autosufficienza della ex moglie.

Poiché il ricorrente non ha dedotto una concreta violazione dell'art. 5, comma 6, legge n. 898/1970 sia sotto il profilo dei criteri normativi e giurisprudenziali per l'accertamento del diritto all'assegno divorzile sia quanto a quelli relativi alla determinazione dell'ammontare dell'esborso, ne consegue la dichiarazione di inammissibilità del ricorso.


Cass., VI civ., ord. 7342/2018

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