Il divieto posto dall'art. 103 c.p.p. non riguarda le ipotesi in cui le conversazioni stesse integrano un'ipotesi di reato

di Valeria Zeppilli - Il divieto posto dal comma 5 dell'articolo 103 del codice di procedura penale non impedisce in maniera assoluta di intercettare le conversazioni o le comunicazioni degli avvocati: la Corte di cassazione, con la sentenza numero 4116/2018 qui sotto allegata, ha infatti ribadito che la ratio di tale norma è quella di garantire il diritto di difesa e che quindi la sua operatività si estende solo entro tali confini.

Conversazioni che integrano reato

In altre parole, il divieto di intercettazione opera con esclusivo riferimento agli affari nei quali i legali esercitano la propria attività difensiva e, di conseguenza, non si estende anche alle ipotesi in cui siano le conversazioni stesse a integrare un'ipotesi di reato.

La vicenda

Nel caso di specie, la Cassazione si è trovata a dover giudicare la legittimità dell'ordinanza con la quale il Tribunale di Venezia aveva applicato a un avvocato, indagato per il reato di cui all'articolo 379 del codice penale, la misura cautelare dell'interdizione dall'esercizio della professione forense per la durata di due mesi.

Tra le diverse censure sollevate dall'avvocato per mezzo del suo difensore, vi era, appunto, quella avente ad oggetto la presunta illegittima utilizzazione di alcune conversazioni telefoniche intercettate in violazione delle previsioni del codice di procedura penale.

Su questo come su altri punti, tuttavia, il legale ha avuto la peggio e, in attesa di conoscere la sua sorte definitiva, per il momento si deve rassegnare ad accettare l'interdizione e a pagare le spese processuali.

Corte di cassazione testo sentenza numero 4116/2018
Valeria Zeppilli

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