Linea dura della Cassazione sugli errori dei legali che, pur non rientranti nel fortuito o nella forza maggiore legittimanti la rimessione in termini, non restano privi di conseguenze giuridiche

di Lucia Izzo - L'errore dell'avvocato nel calcolo dei tempi per il ricorso non rientra nelle ipotesi di caso fortuito o forza maggiore che giustificano la rimessione in termini. La negligenza nell'adempimento dell'obbligazione professionale, tuttavia, non resta priva di conseguenze sul piano risarcitorio o eventualmente deontologico.


Lo ha stabilito la Corte di Cassazione, terza sezione penale, nella sentenza n. 57130/2017 (qui sotto allegata) pronunciandosi sulla domanda del ricorrente contro l'ordinanza che aveva respinto la sua richiesta di rimessione in termini per impugnare altra sentenza emessa a sua carico dal competente GIP.


Per il giudice a quo, non era fattore idoneo a integrare gli estremi del caso fortuito la circostanza, allegata dal ricorrente a sostegno della propria istanza, che il suo difensore avesse errato nel calcolare i termini per la presentazione del ricorso in appello.

Niente rimessione in termini per l'errore dell'avvocato

Anche la Cassazione, pur consapevole di precedenti pronunce favorevoli agli imputati "vittime" della negligenza dei propri difensori (puntualmente richiamate in sentenza), sceglie la "linea dura" negando che tale rimessione in termini sia possibile.

Le inadempienze dei difensori dei fiducia, spiegano gli Ermellini, a qualsiasi causa ascrivibili, non sono idonee a fondare la rimessione in termini in ordine a operazioni da questi non tempestivamente eseguite, trattandosi di fattori esulanti rispetto alle ipotesi di caso fortuito o forza maggiore.

Si tratta, infatti, di eventi superabili mediante la normale diligenza e attenzione, mentre, di regola, il caso fortuito e la forza maggiore che legittimano la restituzione in termini, rappresentano forze impeditive, non altrimenti superabili.


Inoltre, soggiunge la Cassazione, neppure può essere esclusa, in linea di principio, la sussistenza di un onere in capo all'assistito di vigilare sull'esatta osservanza dell'incarico da lui conferito, laddove il controllo sulla correttezza dell'adempimento defensionale non sia stato impedito al comune cittadino dalla complessità del quadro normativo di riferimento, situazione non riscontrabile nel caso di specie.


Tuttavia, conclude la Suprema Corte, la negligenza del difensore nell'adempimento del suo incarico professionale, sebbene non idonea a integrare il caso fortuito o la forza maggiore, non è tale da rimanere senza conseguenze sul piano giuridico, giustificando, in linea di principio, l'adozione di provvedimento sotto il profilo risarcitorio, attivato dall'imputato, ovvero, se dal caso, eventualmente e anche sotto quello deontologico.


Cass., III pen., sent. 57130/2017

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