L'attività del legale deve sempre ispirarsi ai doveri di probità e di lealtà anche nell'esercizio della difesa dell'assistito

di Valeria Zeppilli - L'avvocato, nel sostenere la difesa del suo assistito, può anche utilizzare fermezza e toni accesi, ma non può certo arrivare sino al punto di offendere le altre parti e il giudice.

Lo ha chiarito il Consiglio Nazionale Forense nella sentenza numero 136/2017 (qui sotto allegata), confermando la sanzione disciplinare della censura inflitta a un avvocato colpevole di aver riferito, nel corso di un giudizio instaurato per il pagamento del proprio compenso professionale, alcune circostanze volta solo a gettare discredito personale sulla controparte e in alcun modo connesse all'oggetto del contendere né influenti ai fini del decidere.

Probità e lealtà

Per il CNF, infatti, il potere/dovere dell'avvocato di difendere la parte assistita o contestare le decisioni impugnate con fermezza e toni accesi incontra un limite insormontabile nella necessità di rispettare i doveri di probità e di lealtà.

Tali doveri, infatti, impediscono al legale di porre in essere dei comportamenti scorretti, imprudenti e lesivi nella dignità della professione, come l'utilizzo, nel corso della dialettica processuale, di espressioni sconvenienti e offensive.

La sua attività, in altre parole, deve essere sempre e comunque ispirata alla correttezza e al decoro.

Intangibilità della persona del contraddittore

Concretamente, le esternazioni verbali, verbalizzate e/o dedotte dall'avvocato si scontrano deontologicamente con l'"intangibilità della persona del contraddittore".

Ciò vuol dire che se la disputa si concentra su questioni processuali e ha un contenuto oggettivo "può anche ammettersi crudezza di linguaggio e asperità dei toni"; se, invece, con essa si trascende sul piano personale e soggettivo "l'esigenza di tutela del decoro e della dignità professionale forense impone di sanzionare i relativi comportamenti".

In tal senso, per il CNF, la libertà di cui gode l'avvocato nella difesa della parte "non può mai tradursi in una licenza ad utilizzare forme espressive sconvenienti e offensive".


Consiglio Nazionale Forense testo sentenza numero 136/2017
Valeria Zeppilli

Foto: 123rf.com
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