Per la Cassazione è tale soggetto che deve dimostrare che la condotta del sanitario è stata la causa del danno secondo il criterio del "più probabile che non"

di Valeria Zeppilli - Con la sentenza numero 26824/2017 (qui sotto allegata), la terza sezione civile della Corte di cassazione è tornata a occuparsi della questione dell'accertamento e della prova della condotta colposa del sanitario nei giudizi di responsabilità medica, ribadendo che l'onere di dimostrare il nesso causale tra la condotta del medico e il danno di cui si chiede il risarcimento grava in capo al paziente danneggiato.

Criterio del "più probabile del non"

A tal fine, l'attore deve riuscire a provare, con qualsiasi mezzo a sua disposizione, che la condotta del sanitario ha cagionato il danno secondo il criterio del "più probabile del non".

Viceversa, se alla fine dell'istruttoria la causa del danno lamentato dal paziente è rimasta assolutamente incerta non sarà possibile accogliere le sue doglianze e addebitare una qualsivoglia forma di responsabilità al sanitario.

La vicenda

Nel caso di specie, la controversia era sorta a seguito di una retinopatia oculare di un neonato prematuro all'occhio destro, che aveva comportato la perdita totale della vista.

Tale circostanza poteva essere ricondotta alternativamente a tre fattori diversi, uno solo dei quali imputabile a responsabilità dei medici: una malformazione congenita della retina, un'infezione da citomegalovirus, una iperossia da eccessiva somministrazione di ossigeno.

In corso di causa, all'esito della valutazione delle prove non era stato dimostrato in alcun modo che il danno alla salute del bambino potesse essere ricondotto causalmente alla condotta dei medici e della struttura sanitaria che lo avevano in cura. Ma non solo: era addirittura emerso come più probabile che la malformazione fosse congenita o comunque preesistente alla nascita.

Di conseguenza, non era stato sufficientemente dimostrato dagli attori, i genitori del bambino, il nesso di causalità tra i trattamenti sanitari e i danni lamentati. Le loro domande, pertanto, non hanno trovato accoglimento, né in sede di merito, né in sede di legittimità.

Corte di cassazione testo sentenza numero 26824/2017
Valeria Zeppilli

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