La Cassazione conferma la condanna per una donna che aveva provocato nella vittima lesioni al cuoio capelluto per via di una violenta tirata di capelli

di Lucia Izzo - Due donne, un ex e un litigio furibondo in un bar che termina con un gesto brutale: è questo il contesto che ha dato vita alla causa, giunta sino in Cassazione, per lesioni personali commesse da una donna nei confronti dell'altra tramite un violento "strattonamento" di capelli che ferisce fisicamente la vittima e determina conseguenze penali per l'assalitrice.

La multa di 400 euro nei confronti dell'autrice della violenza è stata confermata dalla Corte di Cassazione, quinta sezione penale, nella sentenza n. 44375/2017 (qui sotto allegata).

La vicenda

Questa ricorre agli Ermellini dopo essere stata condannata dal Giudice di Pace al pagamento di una multa per il reato di cui all'art. 582, comma 2, c.p., per aver cagionato a un'altra donna lesioni personali al cuoio capelluto, giudicate guaribili in cinque giorni.

Tentativo vano per la condannata quello di contestare il provvedimento del giudice di merito: la decisione, secondo gli Ermellini, senza incorrere in vizi, ha compiutamente dato conto degli elementi di responsabilità a carico dell'imputata.

Tirare i capelli è reato

Questi si evincono dalle dichiarazioni della persona offesa, suffragate da quelle dell'uomo presente, e confortate dal referto medico in atti, attestante una contusione del cuoio capelluto della persona offesa, e, quindi, il contatto fisico avvenuto attraverso lo strattonamento dei capelli.

Non coglie nel segno il tentativo volto a minare l'idoneità delle dichiarazioni del testimone, portatore di interessi in conflitto, a costituire elemento di riscontro alle dichiarazioni della persona offesa: per il Collegio, gli elementi di responsabilità a carico della donna sono univoci e convergenti già a partire dalle dichiarazioni della persona offesa, concordanti con la prova documentale, ossia con il referto medico in atti attestante le lesioni al cuoio capelluto.

Come affermato più volte dalla stessa Cassazione, infatti, le dichiarazioni della parte offesa possono essere legittimamente poste da sole a base dell'affermazione di penale responsabilità dell'imputato, previa verifica, corredata da idonea motivazione, della loro credibilità soggettiva e dell'attendibilità intrinseca del racconto.

Neppure la ricorrente può richiamare la scriminante della legittima difesa, poiché la sentenza impugnata ha ricostruito i fatti anche mediante dichiarazioni di altri testimoni: questi hanno riferito di un'azione sviluppatasi su iniziativa dell'imputata stessa che avrebbe fatto irruzione nel bar dell'ospedale iniziando a discutere con il suo ex e poi aggredendo l'altra donna, afferrandola per i capelli. Il ricorso va pertanto rigettato e confermata la condanna dell'imputata.


Cass., V sez. pen., sent. n. 44375/2017

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