La Cassazione respinge il ricorso di oltre 50 pagine per violazione dell'art. 366 del codice di procedura civile

di Lucia Izzo - Un ricorso in Cassazione di oltre 50 pagine? Davvero troppe, tanto da far scattare l'inammissibilità per violazione dell'art. 366, comma 1, n. 3), del codice di procedura civile.

È quanto stabilito dalla Corte di Cassazione, sezione terza civile, nella sentenza n. 18962/2017 (qui sotto allegata) che ha dichiarato inammissibile un ricorso davvero troppo lungo. Con 51 pagine per descrivere i fatti di cui è causa, infatti, si violano indubbiamente le disposizioni codicistiche che invitano a "un'esposizione sommaria dei fatti".

Per consolidata giurisprudenza, chiariscono i giudici, il "fatto" richiamato dal codice si intende nella duplice accezione di fatto sostanziale, concernerne le reciproche pretese delle parti, e processuale, relativo a quanto accaduto nel corso del giudizio, alle domande ed eccezioni formulate dalle parti, ai provvedimenti adottati dal giudice e così via.

Poco "sommario" il ricorso di oltre 50 pagine

Quanto alla sommarietà che deve caratterizzante l'esposizione, la giurisprudenza ha ritenuto che debba essere chiara ed esauriente, sia pure non analitica e particolareggiata di fatti di causa: in pratica, serve alla Corte di Cassazione per percepire con una certa immediatezza il fatto sostanziale e lo svolgimento del fatto processuale, acquisendo così l'indispensabile conoscenza, sia pure sommaria, del processo e in modo da poter procedere alla lettura dei motivi di ricorso in maniera da comprenderne il senso.

La sanzione dell'inammissibilità non colpisce soltanto l'insufficiente esposizione, secondo il Collegio, bensì anche l'eccesso di esposizione: numerose pronunce hanno avuto a oggetto la tecnica della c.d. "spillatura" o del c.d. "assemblaggio", ovverosia la riproduzione meccanica o informatica di una serie di atti processuali e documenti all'interno del ricorso.

Per i giudici tale modalità non riproduce alcuna narrativa della vicenda processuale, né accenna all'oggetto della pretesa, rendendo particolarmente "indaginosa" l'individuazione della materia del contendere e non agevolando, come richiesto dalla norma, la comprensione dell'oggetto della pretesa.

La pedissequa riproduzione dell'intero, letterale, contenuto degli atti processuali è non solo superflua, ma inidonea a soddisfare la necessità della sintetica esposizione dei fatti, costringendo la Corte a leggere tutto a e scegliere quanto effettivamente rileva in ordine ai motivi di ricorso.

Ritiene la Cassazione che simili principi valgano anche nel caso in cui, pur non avendo il ricorrente inserito nel corpo del ricorso la fotoriproduzione degli atti del processo, egli abbia tuttavia egualmente ecceduto nel riportare, in modo quasi meticoloso, ogni singolo accadimento processuale, sia pure con narrazione propria, ma senza alcuna necessità come avvenuto nel caso di specie.

Nonostante la particolare complessità della vicenda, 51 pagine appaiono assolutamente eccessive, escludenti la sussistenza della sommarietà e rendendo particolarmente indaginosa l'individuazione delle questioni da parte dei giudici.

Le parti ricorrenti saranno tenute anche alla rifusione delle spese, fissate in ben 13mila euro, oltre al rimborso forfetario spese generali e altri 200 euro per esborsi, oltre accessori di legge.

Cassazione, sentenza n. 18962/2017

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